Al complesso abbaziale si accede attraverso il torrione d’ingresso, unico superstite delle sette torri difensive erette nella seconda metà del X sec. in occasione della ricostruzione dell’abbazia in seguito alla devastazione ad opera degli Ungari. Restaurato o riedificato dopo il terremoto del 1117, il torrione a struttura quadrata con la parte superiore aggettante sostenuta da una fitta serie di beccatelli. Al di sopra del portone, una lapide in pietra con la data MDXXI e lo stemma cardinalizio di Domenico Grimani (patriarca di Aquileia dal 1498, abate di Sesto dal 1503), affiancata da altri due stemmi dipinti e sormontata da un riquadro con dipinto il leone di San Marco con il libro del Vangelo aperto. Più sotto, quattro figure femminili sorreggono stemmi cardinalizi. Nel cortile interno si dispongono il campanile, la cancelleria, la residenza abbaziale, la casa canonica e la chiesa. La torre, isolata rispetto agli altri edifici del complesso, è in mattoni con terminazione tronca al di sopra della cella campanaria aperta da quattro trifore e canna scandita ritmicamente da alte archeggiate cieche. Accanto alla torre sorge un portale aperto di carattere rinascimentale, in asse con quello della torre di ingresso, ad arco a tutto sesto affiancato da lesene e sormontato da una trabeazione rettilinea, che oggi immette in un vasto parco. La facciata della cancelleria conserva un accentuato sapore romanico, realizzata in mattoni e con una serie di aperture (oggi murate) con arco a tutto sesto, diverse per tipologia, grandezza ed epoca. La residenza abbaziale è di impianto rinascimentale, su due piani, con frontone sopraelevato e con una facciata divisa in un corpo centrale con due ali laterali. La chiesa è il frutto di un radicale intervento operato a inizio Novecento. Il portico di accesso, con affreschi risalenti a epoche diverse, presenta un prospetto molto complesso: all’antica parete d’ingresso caratterizzata da trifore nella parte superiore è stata addossata a destra una scala balaustrata che porta ad un salone sulla sinistra, a sinistra, nel XIV sec., fu realizzata una loggetta con tre arcate a tutto sesto e tre finestre. Il vestibolo - stretto e lungo, e nel quale, a destra e sinistra, si aprono due ambienti - ha un soffitto ligneo piano dipinto risalente al quattrocento e affreschi attribuiti a Antonio da Firenze, eseguiti intorno al 1491 e raffiguranti San Michele Arcangelo, il Paradiso e l’Inferno. Dal vestibolo si accede all’atrio romanico, già quadriportico della chiesa, con massicci pilastri quadrangolari con tracce della decorazione a fresco originaria. Nel vestibolo, a destra e a sinistra, si aprono due ambienti. Quello di destra è il vecchio refettorio degli abati nel quale si conservano decorazioni a fresco (alcune fasce con motivi a grottesca e una Madonna con Bambino di pittore friulano di primo Cinquecento). Al di sopra del vestibolo e dell’atrio si trova un vasto ambiente (forse un tempo diviso in vani minori con destinazione di romitorio) a cui si accede dalla scala esterna. L’attuale chiesa misura più di trenta metri in lunghezze e 14 di larghezza; ha tre navate divise da arcate a tutto sesto; transetto sopraelevato e non sporgente dai muri perimetrali a cui si accede attraverso alte scalinate poste alle fine delle navate laterali; alto tiburio e tre absidi semicircolari. Il presbiterio è diviso dalla chiesa da un arcone ed è sopraelevato per lasciare spazio alla cripta sottostante, ricostruita tra il 1907 e il 1914 e costituita da un vasto ambiente con volte a crociera sostenute da colonne.
L’abbazia fu fondata intorno al 730-735 imponendosi immediatamente come punto di riferimento religioso ed economico del territorio, grazie anche alla cosiddetta ‘donazione sestense’, documento redatto a Modena il 3 maggio 762 (scomparso in originale ma pervenutoci in più copie) con cui tre ricchi fratelli longobardi - Erfo, Marco e Anto - comunicano di aver edificato nel territorio friulano due monasteri, uno maschile a Sesto, l’altro femminile a Salt. Non è dato sapere quale fosse l’originaria organizzazione del complesso architettonico - completamente distrutto nel corso del X sec., risalendo gli edifici esistenti ad epoche di molto posteriori (della chiesa primitiva - situata accanto all’attuale, lunga circa 16 metri e larga poco più di 10, con orientamento ad est, caratterizzata da tre absidi e forse da un monumentale ingresso al presbiterio con colonnine e plutei - si conservano oggi solo minime parti dei muri perimetrali) - ma probabilmente doveva essere costituito da alcuni edifici civili intorno a quello sacro, così come doveva essere chiuso da mura (ancora nel XVII secolo l’abbazia è raffigurata come un borgo murato, ms. Joppi 208). Tra la fine del XI e l’inizio del XII sec. si diede avvio alla ricostruzione dell’attuale chiesa, a tre navate con presbiterio sopraelevato e sottostante cripta. La facciata fu presto occultata da un atrio quadriportico al quale si aggiunse un lungo ingresso-vestibolo. La residenza abbaziale rinascimentale inglobò una precedente residenza, la cui facciata era allineata al prospetto dell’atrio e di cui si sono trovate tracce durante gli interventi di sistemazione del 1968: un muro con bifora con archivolto a doppia ghiera decorato con affresco di epoca romanica. Il 22 agosto del 1480 il governatore dell’abbazia concesse il permesso di edificare due edifici dietro la sacrestia, una delle quali venne rimodernata nella prima metà del settecento per volere dell’abate commendatario Giusto Fontanini. La chiesa - frutto di numerosi rimaneggiamenti, aggiunte e rifacimenti - oggi appare omogenea in seguito al radicale restauro di inizio Novecento, con il ripristino della cripta, la sopraelevazione del presbiterio, la sistemazione del portico di ingresso, la riapertura di antiche monofore, bifore nell’atrio e nel salone sovrastante e la chiusura di finestre più recenti.
L'abbazia di Santa, L'abbazia di Santa Maria di Sesto fra archeologia e storia, Fiume Veneto (PN) 1999
Bergamini G., L'abbazia di Sesto al Reghena. Storia e Arte, Udine 1997
Trame U., La Fabbrica dell'Abbazia di Sesto Disegni Rilievi e Restauri del '900, Pordenone 1996