La nostra storia

L’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale ha ereditato e continua l’attività del Centro regionale per la catalogazione e l’inventario del patrimonio culturale e ambientale del Friuli-Venezia Giulia istituito più di cinquant’anni fa (L.r. 21 luglio 1971, n. 27). Il Friuli Venezia Giulia fu dunque una tra le prime regioni italiane a dotarsi di un ufficio che affiancava l’azione di studio e documentazione svolta dallo Stato attraverso le Soprintendenze.

Le campagne di catalogazione, svolte in modo sistematico Comune per Comune, diedero forma al primo catalogo regionale dei beni culturali, composto da schede cartacee complete di riproduzioni fotografiche e dati descrittivi dei beni, redatte nel rispetto degli standard dettati a livello nazionale dall’Ufficio per il catalogo, oggi Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – ICCD.

La diffusione dei risultati dell’attività di catalogazione fu affidata alla pubblicazione di Quaderni che riportavano dettagliatamente i beni culturali individuati in un Comune, in un’area circoscritta o di una tipologia particolare.

Nel 1976, anche a seguito della necessità di far fronte ai danni provocati dal terremoto che in quell’anno colpì drammaticamente la Regione, all’attività di catalogazione fu affiancata l’istituzione della Scuola di alta formazione per restauratori, organizzata in cicli quadriennali indirizzati a diverse tipologie di beni. A partire dalla sua fondazione la Scuola ha qualificato 75 restauratori esperti in scultura lignea, dipinti su tela e su tavola, materiali lapidei, ceramica e metalli archeologici, tessile antico, superfici architettoniche decorate, beni librari, documentari e opere d’arte su carta.

Ribattezzato Centro regionale di catalogazione e restauro dei beni culturali del Friuli Venezia Giulia e incardinato nella struttura dell’Ente regionale, questo particolare ufficio trovò sede, fin dalla sua istituzione, nel prestigioso complesso di Villa Manin di Passariano.

Risale al 1999 la prima pubblicazione on line del Catalogo regionale dei beni culturali, contenente 80.000 schede. Tale operazione fu possibile grazie a un impegnativo lavoro di informatizzazione dei dati e di digitalizzazione delle fotografie (positivi e negativi) conservate nell’archivio del Centro.

Nel 2005 fu messo a punto il Sistema Informativo Regionale del Patrimonio Culturale – SIRPAC, uno strumento di lavoro web-based che consentì non solo la visualizzazione delle schede del catalogo, ma anche la loro compilazione on line. La creazione del SIRPAC costituì la necessaria premessa per la stipula del Protocollo d’intesa tra l’allora Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. Un accordo che individuava nel SIRPAC il punto di riferimento unitario in ambito regionale per le attività di catalogazione del patrimonio culturale svolte dagli enti, dalle università e da tutte le altre istituzioni impegnate nel settore. Aggiornato nel 2011, il Protocollo ribadì il ruolo fondamentale del SIRPAC nella costituzione del Catalogo nazionale dei beni culturali.

La legge regionale n. 10/2008 trasformò il Centro di catalogazione in Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia – IPAC, ente autonomo funzionale alla regione, mentre nel 2016 fu definitivamente incardinato nel neo istituito Ente Regionale del Patrimonio Culturale – ERPAC (L.r. 25 febbraio 2016, n. 2), mantenendo la sua sede e le sue funzioni di catalogazione e valorizzazione dei beni culturali presenti nel territorio della Regione.

Frutto della lunga attività dell’istituzione, il Catalogo regionale del patrimonio culturale mette oggi a disposizione di tutti circa 470.000 records, comprensivi di dati, immagini e cartografia, relativi a diverse tipologie di beni culturali, materiali e immateriali, pienamente inseriti in un paesaggio che ne è il tessuto connettivo.

Oggi più che mai la catalogazione, azione basilare di conoscenza da cui dipendono la tutela e la valorizzazione, si svolge in modalità partecipata con il concorso di Enti locali, Università regionali e altri soggetti pubblici e privati che a vario titolo sono impegnati nel settore: un’efficace espressione del concetto di patrimonio condiviso messo in valore dalla Convenzione di Faro.