INSEDIAMENTO, età romana

Oggetto
INSEDIAMENTO - insediamento abitativo
Localizzazione
Varmo (UD) Cornazzai
Cronologia
età romana
Codice scheda
SI_70

Su terreno arativo è stata localizzata un’ampia superficie di spargimento (circa m. 110 x 110) con frammenti fittili, ceramici, vetrosi, di macine in pietra vulcanica, tesserine di mosaico ed altro, per cui si ipotizza la presenza di una villa rustica romana. La strada vicinale adiacente, che scende dall’abitato di Cornazzai, sembra corrispondere a un asse (cardine) della centuriazione romana. Dal fondo Torresin, in località Cornazzai, sono state recuperate alcune attestazioni della vita quotidiana all’interno di una abitazione romana. Si tratta di piccoli, ma significativi frammenti riconducibili alla mensa quali bicchieri a pareti sottili e piatti da portata in ceramica africana; ma anche olle da cottura in ceramica grezza e mortai in ceramica comune africana per la preparazione dei cibi. La produzione in ceramica grezza è rappresentata da due frammenti appartenenti a olle di produzione diversa. L’orlo è pertinente ad una olla attestata in città ad Aquileia, nelle ville rustiche sparse nella campagna, in fosse culturali e nelle necropoli. In questo ultimo caso l’olla perpetua la sua funzione di contenitore racchiudendo, una volta venuta meno la sua funzione primaria, le ceneri di chi ha sfamato. Si tratta di una tipologia di recipiente in commercio non oltre la media età augustea. Di tutto altro orizzonte produttivo e cronologico è il frammento di parete dal corpo sferico, la cui spalla è contraddistinta da file di tacche impresse a rotella. Esso potrebbe appartenere ad un’olla conosciuta in numerose varianti, con attestazioni tra il I e il IV secolo d.C. nell’Italia settentrionale, dal Mantovano all’Alessandrino. Sempre riferibile all’ambito della cucina è il frammento di mortaio in ceramica comune africana. Si tratta di una produzione riferibile al IV secolo d.C, allorquando l’uso di questo utensile paragonabile agli attuali robot da cucina con cui si trita, sminuzza e impasta riprende ad imporsi sul mercato continuando quel fil rouge che risale alle ciotole mortaio in ceramica cinerognola di ambito venetico. Nel fondo Torresin è stato recuperato un frammento di laterizio con impresso il marchio [P.]ABVD[RVFI.SICVLEIANI], la cui lettura è stata eseguita da F. Rosset. È questo un bollo ben documentato in regione ed attestato soprattutto nella fascia occidentale dell’agro aquileiese, in particolare nel territorio di Rivignano, dove, secondo P. Maggi, potrebbe essere localizzata l’officina che li produceva. Per quanto riguarda la cronologia, questo tipo di marchio viene generalmente datata agli ultimi decenni del I secolo a.C. La tipologia anforaria più antica attestata nel territorio del comune di Varmo è la cosidetta Lamboglia 2, di cui è statp recuperato un frammento di orlo in località Romans, presso il fondo Torresin. Oltre alle Dressel 6 A, tipiche della prima età imperiale sono anche le Dressel 6 B, la cui presenza nel territorio di Varmo è attestata dal ritrovamento di un orlo frammentario in località Cornazzai, fondo Torresin. Si tratta di anfore adibite sicuramente al trasporto dell’olio e prodotte dalla metà circa del I secolo a.C. fino alla metà del II secolo d.C., anche se sono noti bolli databili all’età severiana, in particolare il marchio M. Aurelius Iustus, che dovrebbe appartenere ad un figlio o nipote di un liberto di Marco Aurelio o Commodo. Analizzando il profilo del “nostro” frammento e basandoci sulla classificazione recentemente proposta da M.B.Carre e da S. Pesavento Mattioli, l’esemplare rinvenuto a Varmo potrebbe appartenere, - il condizionale è d’obblico date le sue ridotte dimensioni, - alle Dressel 6 B di prima fase prodotte in area medio – adriatica, cisalpina e istriana, in un arco cronologico che va dall’età tardo-repubblicana all’età tardo-augustea. Sempre in località Cornazzai sono attestate anche produzioni africane e, probabilmente, orientali. Per quanto riguarda queste ultime, nel fondo Torresin, è stato recuperato un orlo che sembra appartenere al tipo Dressel 24 o MRA 18. Purtroppo l’esigità del frammento e il suo non ottimale stato di conservazione non permettono una sicura attribuzione, tuttavia l’analisi macroscopica dell’impasto e il profilo del labbro sembrano rimandare ad un esemplare rinvenuto nel Capitolium di Brescia e attribuito a tale tipologia, che, dal punto di vista morfologico, è caratterizzata generalmente da collo troncoconico, corpo piuttosto tozzo e puntale conico. Quest’anfora ha avuto, nel corso del tempo, una notevole evoluzione, tanto che la sua produzione si protrae dal II fino al VI secolo d.C.; alcuni addirittura ipotizzano una sua durata fino al IX – X secolo. Per quanto riguarda invece il contenuto, ad oggi non ci sono ancora dati definitivi. Le produzioni africane sono attestate nel comune di Varmo grazie al ritrovamento di sei frammenti significativi (cinque orli e un puntale). Va sottolineato però che, anche in questo caso, le attribuzioni non sempre sono sicure. Almeno quattro frammenti sembrano appartenere a quella tipologia anforaria che va sotto il nome di Keay XXV e conosciuta anche con il nome di “contenitori cilindrici di medie dimensioni della tarda età imperiale”, prodotti in Africa settentrionale. Il frammento contraddistinto dal numero di inventario 178538 appartiene alla forma Keay 25 variante E, che lo studioso inglese data, sulla base di una serie di confronti con alcuni esemplari provenienti dalla basilica costantiniana di via Labicana e dalle Terme del Nuotatore di Ostia, tra l’inizio del IV e l’inizio del V secolo d.C. il frammento 178540 dovrebbe invece appartenere alla variante X che, sulla base degli stessi confronti, viene datata tra il IV e l’inizio del V; infine l’orlo 178613 trova riscontri con la variante P datata tra l’inizio del IV e la metà del V. Più problematica risulta, invece, l’attribuzione per i frammenti 178541 e 178542: essi, infatti, potrebbero essere associati sia ad anfore tipo Keay XXV che ad anfore tipo Keay XI o Tripolitana III.

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