Gli Dei dell'Olimpo, dipinto, Paroli Antonio, XVIII

Oggetto
dipinto
Soggetto
trionfo di Minerva
Autore
Paroli Antonio (1688/ 1768)
Cronologia
1745 ca.
Misure
cm - altezza 280, larghezza 400
Codice scheda
OA_7704
Collocazione
Gorizia (GO)
Palazzo Attems Petzenstein
Musei Provinciali. Pinacoteca

Al centro della composizione vi sono Minerva e Giove assisi su una nuvola. Nel gruppo di sinistra sono raffigurati: Nettuno con il tridente, Venere con la colomba e Cupido, e in basso Vulcano con il martello seduto sopra l’incudine. Sulla destra, accanto a Giove è ritratto Mercurio con il caduceo. Il gruppo di destra vede dipinti Plutone con la forca e Diana con l'arco e la faretra colta di spalle mentre indica a Ercole la coppia di dei al centro della composizione.

Nel catalogo della mostra dedicata ad Antonio Paroli, Ferdinand Šerbelj (1996, pp. 101-102), prestando attenzione soprattutto all’iconografia, inseriva la tela soffittuale del salone di Palazzo Attems in un programma di ampio respiro di Sigismondo Attems (1708-1758) osservando che “tenendo conto del formato del dipinto, il Paroli ha disposto gli dei, a parte Giove e Minerva, in due gruppi. Sulla sinistra ci sono Nettuno con il tridente , Venere con le colombe e Cupido, nonché Vulcano con il martello, incatenato all’incudine. Sulla destra, accanto a Giove saltella Mercurio; vicino a lui si trovano Plutone dio degli Inferi con la forca e Diana che, dialogando con Ercole, indica la coppia al centro”. Rispetto alla datazione, Šerbelj faceva coincidere l’ideazione del dipinto con la fondazione dell’Accademia dei Filomeleti (24 febbraio 1744), di cui Sigismondo era presidente e segretario, e la diffusione delle idee dell’Illuminismo: il committente “sicuramente suggerì al pittore la propria visione dell’Olimpo, come possiamo vedere dalle figure centrali che non sono la tradizionale coppia Giove e Giunone, bensì Minerva accanto a Giove, in evidente atteggiamento benevolo nei confronti della dea della saggezza”. In considerazione del ruolo svolto da Minerva in questo consesso olimpico, Šerbelj proponeva di modificare il titolo della tela in La glorificazione di Minerva, tornando probabilmente al significato originario dell’opera. Lo studioso osservava che “se si fossero conservate le iscrizioni sui piedestalli delle sculture di Mazzoleni sulla facciata dello stesso palazzo, forse in collegamento con il dipinto, avremmo potuto comprendere meglio il messaggio intellettuale dell’aristocratica cerchia di eruditi che sotto questa pittura si raccoglievano attorno al conte d’Attems, loro patrono spirituale”. Massimo De Grassi (La scultura a Gorizia nell’età dei Pacassi, scheda Decorazione plastica della facciata di Palazzo Attems-Petzenstein, in Nicolò Pacassi architetto degli Asburgo, catalogo della mostra, a cura di E. Montagnari Kokelj, G. Perusini, Monfalcone/Gorizia 1998, p. 120), procedendo all’identificazione della maggior parte delle sculture – Ercole, Ganimede, Giove, Apollo citaredo, forse Crono, Sileno -, constatava l’eterogeneità dell’insieme che, comunque, riteneva “sicuramente in rapporto con il dipinto di Paroli visto il comune contenuto olimpico”. Infine, la scrivente (1998, pp. 185-187) considerava che nonostante l’impossibilità di giungere ad una decodificazione puntuale dell’allegoria olimpica che corona il palazzo, il senso generale dell’impianto risulta leggibile come prosecuzione della decorazione interna. L’interpretazione va probabilmente sviluppata nel senso di una allegoria della Ragione: a Giove, posto al centro del consesso a cielo aperto, corrisponde Minerva protagonista del dipinto di Paroli. E ciò in piena coerenza con i dettami di Cesare Ripa (Iconologia, Roma 1603, p. 442) che riportava come fosse “commune opinione che gli Antichi nell’immagine di Minerva con l’oliva appresso, volessero rappresentare la Sapienza, secondo il modo, che era conosciuta da essi, & però finsero, che fosse nata dalla testa di Giove, come cosa conosciuta per molto più perfetta, non sapendo errare in cosa alcuna”. La tematica sapienziale prescelta era in sintonia con le idee più vive della cultura della prima metà del Settecento e si inseriva nel quadro della celebrazione illuministica della Ragione che trionfa sulle tenebre dell’ignoranza. La scelta si rivelava inoltre del tutto funzionale alla strategia politica e culturale di Sigismondo Attems che stava per portare a compimento ambiziosi programmi, tra cui l’elezione del fratello Carlo Michele a primo arcivescovo della diocesi di Gorizia: in questo contesto l’impresa di rinnovamento e di abbellimento del palazzo di città si imponeva come necessità di allestire una coreografia adatta a celebrare l’evento. Tanto più che il modello di riferimento era vicino, essendo costituito dallo splendido rinnovamento del palazzo arcivescovile di Udine ad opera dei Dolfin che, tra il 1708 ed il 1725, avevano chiamato a realizzare l’impresa i migliori artisti veneziani del tempo mettendo a punto un programma iconografico fondato sull’idea che la sapienza, se ben diretta, scopre e vince le insidie del demonio (cfr. F. Benzi, Allegorie sapienziali e rappresentazioni demoniache nella Biblioteca Arcivescovile di Udine, in “Arte/Documento” n. 3, 1989, p. 234). Il messaggio dei Dolfin, volto a consolidare e conferire nuovo prestigio alla funzione di guide spirituali e politiche che rivestivano nella città veneto friulana, fu colto da Sigismondo che, in un contesto diverso ma con attitudini di supremazia familiare non dissimili da quelle di Dionisio Dolfin, volle emulare in termini “laici” il patriarca proponendo nella decorazione interna e di facciata del palazzo di Gorizia una allegoria della Ragione intesa come volontà individuale che guida il divenire. (DELNERI 2007, p. 58)

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