La scena vede raffigurati quindici personaggi. I principali sono tre: a sinistra della composizione, seduto in trono, è dipinto il faraone con veste ocra, manto verde scuro e risvolto rosa scuro e cappa di ermellino. Alle sue spalle fa da quinta un drappo rosa scuro. Indossa la corona. Al suo cospetto, al centro della composizione, Giuseppe in abiti cinquecenteschi con camicia bianca con collo in pizzo e corsetto azzurro intenso, presenta il padre al faraone. Il padre Giacobbe è in ginocchio con braccia conserte al petto in atteggiamento di devozione nei confronti del faraone. Indossa una veste color ocra, un mantello rosa antico e cappa di ermellino. A destra della composizione sono ritratti in vari atteggiamenti gli altri dodici fratelli. Sullo sfondo, dietro un'alta balaustra su cui poggia un alto vaso, si scorge un paesaggio con alberi e la punta di una piramide.
Queste due tele [vd. inv. 362/06] fanno parte di una suite di cinque raffiguranti la Storia di Giuseppe l’ebreo (Genesi 37-47; gli altri dipinti della serie rappresentano Giacobbe riconosce la veste insanguinata di Giuseppe; Giuseppe interpreta i sogni del faraone; La coppa d’argento nel sacco di Beniamino), cui si unisce un sesto dipinto che rappresenta l’episodio della Partenza di Rebecca. Il ciclo proviene dall’Istituto Provinciale per sordomuti di Gorizia e fu “scoperto” da Giovanni Cossar che, riconoscendo la mano di Antonio Paroli, lo acquisì per il Museo della Redenzione nel 1921. Ferdinand Šerbelj (1996, p. 87 e 93) sottolineava la singolarità del ciclo osservando che né in Slovenia, né in Friuli esistono esempi legati a questa tematica. Considerando poi l’estraneità dell’episodio della partenza di Rebecca, lo studioso ipotizzava l’esistenza di un ciclo più ampio in cui venivano sviluppati più episodi veterotestamentari. Nel 1948 Ranieri Mario Cossar pubblicava (Storia dell’arte e dell’artigianato a Gorizia, Pordenone 1948, p. 223) l’atto di morte di Antonio Paroli tratto dal libro parrocchiale dei Santi Ilario e Taziano “Die 13. Febr. 1768. Antonius Paroli anno: 80 usu rationis destituit Sacramento extrema unctionis praemunitus objit in Domino et sepultus est in Coemeterio Braida Vaccana” che consentiva di fissare l’anno di nascita dell’artista al 1688. Nonostante gli studi e gli approfondimenti sull’opera dell’artista condotti nell’ultimo decennio – in particolare quelli di Ferinand Šerbelj (1994; 1996; 2002) – non si hanno notizie circa la formazione e l’attività giovanile di Paroli, la cui presenza a Venezia nel 1718 sembra confermata da Gianantonio Moschini (Guida per la città di Venezia, Venezia 1815, II, 1, p. 32; II, 2; p. 614) che ricordava due dipinti di “Parolo Antonio” raffiguranti la Moltiplicazione dei pani e dei pesci e la nella soppressa chiesa veneziana di Santa Maria della Misericordia. Agli inizi degli anni trenta l’artista ritornò a Gorizia e aprì bottega in casa Tomada nel quartiere dei Macelli (l’odierna via Morelli), lavorando per committenti cittadini e del Goriziano con continuità e fino ad età avanzata. Perdute le opere del periodo forse trascorso a Venezia, l’attività dell’artista è documentabile solo nella fase della maturità, ossia quando Paroli aveva superato la quarantina. Punto fermo della cronologia dei dipinti di questi anni è la pala per la chiesa di Santa Maria Annunziata di Romans d’Isonzo, raffigurante San Pietro tra i santi Valentino, Osvaldo e Giovanni Nepomuceno, firmata e datata 1737, cui, per ragioni stilistiche, possono essere avvicinati numerosi dipinti eseguiti per chiese dell’Isontino, della valle del Vipacco e del Carso goriziano. Al 1744 risale la monumentale composizione Gli Dei dell’Olimpo, commissionata da Sigismondo Attems – Petzenstein per la decorazione del soffitto del suo palazzo di città (realizzato su progetto di Nicolò Pacassi) inaugurato nel 1745. Nel 1752 Paroli eseguì dodici dipinti per gli stalli dei canonici nel coro del Duomo di Gorizia; agli anni Cinquanta vanno ascritti anche la maggior parte delle opere dei Musei Provinciali (Sant’Ilario e S. Taziano patroni di Gorizia, Ciclo di storie di Giuseppe l’ebreo in Egitto, Scene storiche), la Via Crucis della chiesa di San Rocco (Gorizia), i tre monumentali dipinti raffiguranti le Leggende di San Giovanni di Dio (Gorizia, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio – Fatebenefratelli). Operoso fino alla fine dei suoi giorni, Antonio Paroli nel 1767 portò a compimento un’ultima grande impresa realizzando la tela soffittuale con L’elemosina di San Carlo Borromeo per la navata della chiesa del Seminario teologico di Gorizia. L’artista si spense, all’età di ottant’anni, il 13 febbraio del 1768 e fu sepolto nel camposanto di Braida Vaccana presso la chiesa di Sant’Antonio. (DELNERI 2007, p. 62). Opera entrata in museo attraverso un ritrovamento fortuito.
Delneri A., Schede, in La Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, Vicenza 2007
Šerbelj F., Antonio Paroli, Ljubljana/ Gorizia/ Nova Gorica 1996
Malni Pascoletti M., La pinacoteca di Palazzo Attems, in Studi Goriziani, Gorizia 1977, XLV
Tavano S., Per lo studio di Antonio Paroli, in Arte in Friuli Arte a Trieste, Udine 1975, n. 1