in basso a sinistra: V. Bolaffio
Paesaggio con strada fiancheggiata da alberi e percorsa da persone. Il cielo contro cui si staglia il grande albero esotico è azzurro in alto e giallo dorato verso l'orizzonte. Il paesaggio giocato sui toni verdi e bruni è illuminato da una luce calda.
Il quadro è databile al breve ma intenso periodo che va dal ritorno dal viaggio in Oriente (fine del 1913) alla chiamata alle armi nell'estate del 1914. Come osservava Giulio Montenero (1975, p. 59) in questa tela si ritrovano “Singapore ma anche Gorizia, Gauguin e Cézanne ma anche Fattori. Proprio dalla cucitura di brani stilistici disparati si evince che Bolaffio era persino in questa fase di assestamento profondamente originale. Gli importa il che cosa non il come”. Antonio Morassi (1932, pp. 53-59) rilevava che l’esempio di Gauguin influì indubbiamente nelle opere giovanili di Bolaffio facendogli balenare nuovi orizzonti pittorici, tuttavia il critico precisava: “Ho l'idea che tali miraggi fossero più forti delle successive realizzazioni, poiché nemmeno nelle terre lontane la sua pittura subì sconvolgimenti sostanziali. Vi si nota, sì, un'atmosfera diversa, stranamente melanconica, ma non un decisivo mutamento di rotta, come avvenne appunto in Gauguin”. La pennellata sciolta, la rinuncia alla definizione delle figure con una linea di contorno, la luminosità della macchia, gli accordi tonali del cielo e della strada dipinti con la stessa pasta cromatica, portano ad accostare l’opera qui esaminata con la tela raffigurante la Via dell'Acquedotto - già in collezione Brioschi Seassaro, Milano (Montenero 1975, n. 24) -, il più impressionista dei quadri di Bolaffio (Morassi 1932, p. 55). Per l’artista il viaggio in Oriente non fu tanto la ricerca di sensazioni nuove, quanto l’esplorazione della realtà profonda del proprio essere, dei motivi remoti delle proprie pulsioni. L’Oriente, ma anche, e soprattutto, la vita di mare che, come ricordava Libero Mazza (M. Bolaffio, L. Mazza (a cura di), Il porto amico, Trieste 1975, p. 24), erano “Passione, promesse. In questo segno Vittorio Bolaffio, goriziano, scopre il mare e lascia senza rimpianti le selve di Tarnova per quelle dei bastimenti ormeggiati lungo le rive o all’ancora. Cosa lo attirava? Non gli innumerevoli elementi materiali (pur fascinosi per un pittore) dell’arte navale e del suo speciale linguaggio, ma il mondo e la vita e i modi che essa provoca, le dimensioni e le corrispondenze umane, la tipologia e le atmosfere. Fino a chiedersi: e oltre? Questo oltre significava non accontentarsi più di guardare da terra, ma salire a bordo e partire, e gli uomini vederli adesso muoversi in altri e diversi spazi, entro misure e obblighi inconsueti, e vivere con loro, e sentirne la nostalgia delle lontananze. Ma sempre l’uomo prima, sempre l’uomo e il suo curvare, la sua fatica, la sua solitudine terribile a calamitare gli occhi, a guidare la mano nella rapida impressione o a fissarla nella memoria. Il viaggio in terre lontane diventa così il completamento della scelta ormai radicata. Tranne la lunga parentesi della guerra, egli non lascerà più questa città di mare [Trieste] e la sua gente, eleggendola, pur nella serena disperazione della sua vita, a porto felice”. (DELNERI 2007, p. 138)
Pinacoteca estate, Pinacoteca d'estate. Viaggio nel primo '900. Opere della Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, s.l. 2010
Delneri A., Schede, in La Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, Vicenza 2007
Vittorio Bolaffio, Vittorio Bolaffio: disegni e dipinti, Venezia 1999
De Vecchi F., Vittorio Bolaffio, in Shalom Trieste: gli itinerari dell’ebraismo, Trieste 1998
Vittorio Bolaffio, Vittorio Bolaffio 1883 – 1931, Trieste 1975
Morassi A., Vittorio Bolaffio, in Catalogo della VI Esposizione d’arte del Sindacato Regionale Fascista Belle Arti della Venezia Giulia, Trieste 1932