Nero e bianco, dipinto, Pollack Federico Gino detto Parin Gino, XX

Oggetto
dipinto
Soggetto
ritratto di donna
Cronologia
1929 ca. - 1930 ca.
Misure
cm - altezza 58, larghezza 62.5
Codice scheda
OA_8770
Collocazione
Gorizia (GO)
Palazzo Attems Petzenstein
Musei Provinciali. Pinacoteca
Iscrizioni

Figura femminile seduta su un divano. Indossa un abito nero. I tratti del volto sono indefiniti.

Il dipinto, giunto nella sede attuale per donazione dell’artista nel 1934, fu probabilmente proposto all’attenzione del pubblico goriziano l’anno successivo, nell’esposizione allestita a Gorizia presso le sale di palazzo Attems per onorare la memoria di Sofronio Pocarini. Remigio Marini, recensendo la rassegna sulle pagine de «La Panarie» riferiva infatti di un non meglio specificato Ritratto muliebre di Gino Parin “ottimo nelle sue nutrite terre di Siena […] più che un’opera finita, vuol essere un vivace bozzetto, sapiente nei forti contrasti d’ombra e di luce” (MARINI 1935). L’immagine raffigura, in un interno illuminato da luce artificiale, una donna vestita di nero e adagiata su un divano. La scena, appena richiarata sulla sinistra, è dominata dal volto pallido ed emaciato dell’effigiata le cui sembianze richiamano alla mente quelle di Fanny Tedeschi, soggetto prediletto dall’artista che la ritrasse instancabilmente, nelle pose più diverse, durante i lunghi anni della loro relazione sentimentale, interrotta soltanto dalla morte di lei avvenuta nel dicembre del 1927. Poiché il dipinto in questione fu eseguito verosimilmente tra il 1929 e il 1930 per essere esposto alla Biennale di Venezia del 1930, la somiglianza con la donna amata da Parin deve essere interpretata in senso lato e riferita ai ricordi personali del pittore. Riemerge, nell’opera di cui si tratta, il portato Simbolista e Secessionista che l’artista aveva avuto modo di assimilare negli anni della propria formazione monacense: l’enigmatica figura femminile si presenta quasi evocata sulla tela dal fascio di luce che la illumina contro il fondo scuro dell’ambientazione, mancando la più precisa definizione formale di altri dipinti, soprattutto di quelli eseguiti nel corso degli anni Trenta. La pennellata guizzante ed abbreviata, nonché gli impasti tonali sembrano derivare dalla pittura veneziana a cui Parin guardò sempre con attenzione nel tentativo di coniugare, nell’eclettismo personale del proprio linguaggio espressivo, i raggiungimenti delle differenti culture figurative a cui il suo stile era ugualmente debitore. La realizzazione del dipinto, del resto, si colloca in parallelo al successo ottenuto con la mostra personale allestita a Palazzo Doria a Roma nel 1930. Anche in quell’occasione il pittore era stato particolarmente apprezzato per il suo stile accattivante legato soprattutto agli effetti risentiti del chiaroscuro e ad un luminismo costruito su bagliori improvvisi ed inusuali giochi di luce. Di lì a qualche anno, le suggestioni novecentiste si faranno sempre più evidenti nella pittura dell’artista di origini ebree a cui, dopo l’emanazione delle leggi razziali, promulgate in Italia nel 1938, sarà interdetta ogni attività espositiva e che, arrestato e deportato, morì nel campo di concentramento di Bergen Belsen in Germania, il 9 giugno del 1944. (GRANSINIGH 2007, p. 196)

BIBLIOGRAFIA

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Shalom Trieste, Shalom Trieste: gli itinerari dell’ebraismo, Trieste 1998

Simbolismo Secessione, Simbolismo Secessione. Jettmar ai confini dell’Impero, Gorizia 1992

Arte Friuli, Arte nel Friuli Venezia Giulia: 1900-1950, Pordenone 1982

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XVII Biennale, XVII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia 1930