in basso a destra: timmel/ XII II XXXXII
Paesaggio collinare con un albero e un cane in primo piano. Sullo sfondo si scorge sbucare tra le chiome degli abeti, su di una collina, un centro abitato, di cui si intravvedono il campanile e i tetti di alcuni edifici.
Questo dipinto appartiene alla produzione pittorica di Vito Timmel degli anni ’40. Proprio in quegli anni l’artista si dedica con particolare frequenza ai paesaggi, ritrovando nella natura e nella sua contemplazione la quiete che riposa mente e spirito e che prepara ad un rinnovato impegno e a più importanti aspettative. E’ in Brianza nel corso dei primi anni ’20 che il paesaggio assume per Timmel particolare interesse, quando, sembra su suggerimento e richiesta della proprietaria di una locale villa, si appresta a comporre un ciclo di paesaggi sul tema del viandante, il peregrinare dell’uomo senza fissa dimora che è destinato a non avere meta e a non avere fine se non nella conclusione della vita stessa. In esso si configura l'esperienza di vita del pittore alla ricerca di un altrove nel quale dare pace alla propria irrequietezza di vivere e al proprio tormento esistenziale. Da questo punto di vista i paesaggi di Timmel non sono mai privi di connotazioni spirituali e simboliste, di aspetti fantastici e onirici che vanno nel tempo esasperandosi, specie quando a partire dal 1944, ospite stabile dell’ospedale psichiatrico di Trieste, compirà attraverso gli stessi, viaggi immaginari verso luoghi ormai materialmente impossibili per lui da raggiungere, ma desiderati e vagheggiati come rifugio e fuga dalle costrizioni e dai condizionamenti imposti alla mente e alla fantasia dall’analisi psichiatrica. Questo dipinto si colloca a metà tra l’iniziale interesse per la natura maturato con maggiore decisione in Brianza e la sua successiva e ossessiva esasperazione come fuga nell’altrove. In esso, apparentemente privo di complicazioni, trovano rappresentazione poche presenze significative: un cane e un albero in primo piano, un agglomerato urbano e colline sullo sfondo. Tuttavia la pennellata puntinista, ora a piccoli tocchi, ora a tratteggio, l’insistenza sul dettaglio minuto ed essenziale, l’esasperato senso decorativo nella linea sinuosa e ondeggiante degli steli fioriti, dei fili d’erba, dei rami dell’albero, contribuiscono ad evocare un’atmosfera sospesa ed incantata. Qui Simbolismo e Metafisica sembrano incontrarsi a metà strada in un’opera dal linguaggio pittorico ed emotivo straordinariamente autonomo e personale. Esperienze e valenze culturali differenti si mescolano infatti inesorabilmente nell’opera di un artista che si avvia ormai alla conclusione del suo operato, ma che non per questo, anzi tutt’altro, mostra di non aver più nulla da dire. Esse dallo Jugendstil klimtiano della prima formazione al Simbolismo di marca tedesca, dalla contemporanea ricerca pittorica italiana incarnata dal Divisionismo prima, dalla Metafisica, dal Novecento e dal Realismo Magico poi, per arrivare infine alla pittura postimpressionista francese, mostrano di dare voce a quella tensione spirituale che l’artista scioglie nella sua opera verso una vita tanto agognata e desiderata, quanto vissuta solo in parte e talvolta respinta, proiettandovi paure che in parte appartengono senz’altro al singolo, ma che per certi versi si estendono universalmente all’intero genere umano. Così osservando l’opera si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un sogno in cui il lirismo poetico sembra volutamente assopire le inquietudini da incubo espresse in altri dipinti. Da un punto di vista più esplicitamente tecnico nella pennellata puntinista del dipinto sembrano ravvisabili richiami alla pittura di Segantini, di Klimt, ma soprattutto del primo Kandinsky del “Reitendes Paar”, cui lo accomuna pure l’evocazione onirica e fiabesca. La costruzione dello spazio salda ed equilibrata, insieme al senso di profondità costruito mediante un'attenta e calcolata sovrapposizione di piani contrasta con l’evidente tensione al bidimensionalismo suggerita dall’insistenza data alla linea e al decoro. In tale contrasto si fronteggiano la preziosa lezione dei classici della pittura italiana e l’ardire della moderna pittura del presente. Interessante risulta essere poi anche la scelta della tecnica pittorica a tempera, particolarmente cara ai grandi maestri dello Jugendstil sia a Vienna che a Monaco di Baviera. Si pensi infatti per quel che riguarda quest’ultima a come all’Accademia di Belle Arti, il secondo principe dei pittori, Franz von Stuck pretendesse dagli allievi esclusivamente l’uso della tempera, in luogo dell’olio. Attenta appare infine, secondo una predilezione e un interesse del tutto particolare di Timmel, la calibratura tra le tonalità fredde del verde e dell’azzurro e i tocchi di pennello cui si affida la suggestione della luce, di contro alle ombre.
Marri F., Vito Timmel, Trieste 2005, n. 7
Walcher M./ Fumaneri Lescovelli L., Vito Timmel, in Iniziativa Isontina, Gorizia 1976, a. XVIII, n. 6, maggio