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in basso a sinistra: DYALMA/ STVLTVS/ 33
Paesaggio collinare con casa isolata e piccolo agglomerato urbano in cima alla collina sullo sfondo.
Quest'opera, firmata e datata da Stultus 1933, è nota anche con il titolo di "Paesaggio del Collio" e rientra nell'ambito della sua folta produzione paesaggistica. Partito da una formazione che si svolse inizialmente nella città natale, la Trieste dei primi del '900, e di cui risentì nelle influenze impressioniste e secessioniste importatevi dagli artisti della passata generazione, Stultus a seguito degli studi accademici, portati a compimento nella Venezia di Ettore Tito e Augusto Sezanne, si indirizzò verso una sperimentazione pittorica più legata ai contemporanei sviluppi del panorama artistico italiano. Egli si volse in questo senso, trasferitosi a Firenze e dopo aver visitato Roma e Parigi, verso una poetica di gusto novecentista, pur non avvicinandosi mai né a gruppi, né a ismi di qualsiasi sorta. Muovendosi entro questa linea, sviluppò un linguaggio pittorico, memore e rispettoso con nuovo occhio proficuo, della grande tradizione italiana e capace di guardare agli spunti più produttivi che gli venivano dal contesto artistico nazionale contemporaneo. Così seppe far tesoro del recupero e della rivalutazione dei Macchiaioli, della scoperta, pur ritardata in Italia, di Cézanne, del confronto con contemporanei capaci di cogliere i nuovi fermenti maturati a livello internazionale e nazionale, come Ardengo Soffici, Felice Casorati, Mestrovic, Atschko. Questo lo portò verso un fare artistico sempre più autonomo e anticonformista rispetto alle spinte astrattistiche della sua epoca, confermando la sua fedeltà nella forma così come nel rigore compositivo e volumetrico non estraneo a spinte ed evocazioni fantastiche e sottilmente spirituali, suggerite attraverso un sapiente uso delle ombre e della luce. In un percorso artistico di questo tipo il paesaggio viene ad essere un inevitabile banco di prova per un artista che ama la natura, che è attento a captarne con precisione il mutare delle gamme e che possiede un'instancabile e spontanea capacità di costruzione compositiva. Dopo avervi esordito secondo forme paraimpressioniste venate di ascendenze e rimandi secessionisti, Stultus si accosta anche nel paesaggio ad una poetica di costruzione e narrazione che si può ricondurre al Novecento Italiano. A questa fase appartiene appunto il dipinto in questione, dove la costruzione formale viene affidata ad una salda linea di contorno entro la quale le superfici sono riempite da una pennellata vibrante e discontinua, quasi a tocco. Vengono a questo proposito alla mente le composizioni paesaggistiche di Piero Marussig, con il quale effettivamente Stultus fu in contatto, ma con una resa più quieta e solerte. L'intensificazione formale dei volumi ottenuta attraverso uno schema compositivo attentamente studiato, scandito dall'intersezione delle linee verticali degli alberi e delle case con quelle oblique dei campi e dei filari, non esclude il permanere di questa pennellata impressionistica che Stultus continuò evidentemente a ritenere nella sua pittura più confacente per la resa della vegetazione e della natura. Lo schema compositivo dell'opera risente chiaramente dei moduli costruiti in alcuni dei suoi paesaggi da Ardengo Soffici, con la cui ricerca artistica Stultus ebbe molti punti in comune (la rivalutazione dei Macchiaioli ad esempio, ma anche la scoperta dell'innegabile valore di Cézanne). A Soffici del resto riconduce anche il gruppo di case inframmezzate di vegetazione raffigurato sulla collina ed evidente conferma dell'amore di Stultus per la volumetria. Qui infatti il paesaggio, come in altre opere si riduce a una composizione di solidi geometrici in prospettiva. Eppure non manca in opere come questa la poesia; non manca una sottile aura spirituale che da voce all'amore per la vita semplice, per i valori del mestiere, per la tranquillità e il silenzio in uno spazio atemporale fermato dall'artista sulla sua tela. Da questo punto di vista quest'opera risulta senz'altro rappresentativa della personalità di un artista che seppe camminare, in un periodo non facile e non sempre felicemente produttivo dell'arte italiana, in cui molti potevano essere i messaggi o gli entusiasmi facili e fuorvianti, con la sicurezza di chi conosce a fondo il mestiere e non si lascia distogliere dalle proprie intime convinzioni e capacità, anche quando questo poteva risultare impopolare.
Comar N., Dyalma Stultus. Dalla formazione alla tangenza al Novecento Italiano, Trieste 1993, n. 8
Abrami W., Dyalma Stulus. Aspetti astratti e fantastici, Firenze 2003
Bossaglia R./ Fagioli M./ Gurrieri F./ Marsan C., Dyalma Stultus. Dipinti e sculture dal 1925 al 1977, Firenze 2000