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La tradizione tardottocentesca, che è matrice della pittura di Bront, è qui visibile in impasti cromatici che rimandano visibilmente ad autori quali un Nono o un Milesi. Vi è tuttavia una solidità d’impianto, nell’opera, che ferma il gioco di luce in stabilità quasi visionaria, scoprendo l’intenzione di bloccare sulla tela proprio l’attimo in cui l’alta luce si riflette sulla mole della chiesa. L’opera appare così come divisa in due parti, il giallo-azzurro degli edifici e del cielo, e i verdi in primo e secondo piano, vivificati dal tocco violetto dei fiori, e ancora dalla luce che colpisce e taglia nel mezzo, ristabilendo l’unità complessiva dell’immagine.
Pauletto G., Pitture e sculture del XX secolo, in La Collezione d'arte della Fondazione della Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone. Opere del Novecento, Ginevra/ Milano 2008, 2