In primo piano a destra è raffigurata una croce su cui pende a testa in giù un corpo umano stilizzato. Sullo sfondo a sinistra è dipinta una chiesa con cupole, volute e timpano.
Nell’immediato secondo dopoguerra, Luigi Spazzapan dimostra di voler virare la sua ricerca espressiva in direzione di un recupero dell’astrattismo per il tramite dell’esempio di Matisse. Il colore puro e il grafismo insistito di quest’ultimo divengono i traguardi da raggiungere attraverso la depurazione e la sintesi che l’artista gradiscano persegue disegnando più volte lo stesso soggetto, fino a distillarne gli autentici valori formali. Il dipinto in questione appartiene a questa fase espressiva: in un’intelaiatura prospettica di lontana ascendenza rinascimentale, chiusa sul fondo dalla massa architettonica di un edificio sormontato da cupole, si impone a destra una gran croce scura da cui pende il corpo senza testa di un giustiziato. Il tema del partigiano impiccato o, come in questo caso, decapitato torna più volte nell’immaginario pittorico di Spazzapan che lo risolve attingendo a schemi compositivi diversi. Se tra il 1945 e il 1946 si cimenta sul soggetto de Il partigiano impiccato per i piedi (Bra, collezione Sandro Alberti) ricorrendo alla tecnica della china acquerellata su carta e orchestrando la scena sul fulcro della forca da cui pende il corpo senza vita dell’uomo, nel 1954 proporrà un nuovo Partigiano impiccato (Torino, Galleria Civica di Arte Moderna) in cui, protagonista assoluta del dipinto, è la figura che si allunga a coprire tutta la superficie del supporto. La tempera di Gorizia si differenzia dagli esempi citati per la libertà creativa che domina l’immagine con il corpo del partigiano trasformato in una silhouette gialla sul fondo blu, sulla quale scorrono i segni del martirio: quasi arabeschi stilizzati che attraversano la sagoma bidimensionale e scomposta del morto. Scrivendo a Lionello Venturi nel 1946, Spazzapan si riferiva forse a questi tentativi quando parlava di segni “a cui potrei dare una ragione, ma per il momento non voglio. Ho provato ed in alcuni riducendoli così mi sono avvicinato a Picasso ma è questo che non voglio. Voglio che resti immediato nell’esecuzione, avrà tanti difetti forse, ma resta però l’emozione quello che conta” (cit. in F. FIORANI, Schede delle opere in mostra, in A. IMPONENTE (a cura di), Luigi Spazzapan 1889-1958, catalogo della mostra di Roma, Milano 1990, pp. 158-159). L’opera di cui si tratta proviene dalla collezione della scultrice Jetta Donegà di Torino che fu assai vicina a Spazzapan nell’ultimo periodo della sua vita. (GRANSINIGH 2007, p. 216)
Gransinigh V., Schede, in La Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, Vicenza 2007
Gorizia Gorica, GO Gorizia_Gorica. Documenti d’arte nell’Isontino dal secondo dopoguerra, Gorizia 2002
Alberti S./ Dragone A., Spazzapan, Firenze 1981
Damiani L., Arte del Novecento in Friuli. Il liberty e gli anni Venti, Udine 1978, I
Luigi Spazzapan, Luigi Spazzapan, Torino 1977
Retrospettiva Spazzapan, Retrospettiva di Spazzapan, in L'Unità, Roma 1970, 31 luglio
Marchiori G., L’avventura fantastica di Luigi Spazzapan, Gorizia 1970