basamento, faccia frontale, a sinistra: S. BERNT 1947
Le forme del busto e delle braccia sono poco più che sbozzate nel blocco di pietra, mentre la testa, con la massa compatta dei capelli che scendono sulle spalle, è più rifinita e leggermente piegata alla destra della figura e girata verso l'alto. L'artista in tal modo si ritrae mentre osserva intensamente qualcosa, o qualcuno, da sotto in su.
Quando scolpì questo autoritratto, nel 1947, Sylva Bernt, nata a Gorizia da un famiglia di antiche origini magiaro-scandinave, aveva trentasette anni e un importante percorso artistico alle spalle. Formatasi in un clima culturale tipicamente mitteleuropeo, nel quale erano nati i suoi interessi per la letteratura, la musica, la danza e il teatro, si era trasferita a Venezia con la sorella Alma (coreografa, amica di Tancredi, Music e Cadorin) e qui, nel 1940, si era diplomata con Arturo Martini all'Accademia di Belle Arti e due anni più tardi aveva esposto per la prima volta alla Biennale (dove, con il suo Atleta in riposo, era stata l'unica scultrice presente al concorso indetto sul tema dei "giochi"). L'Autoritratto - presentato a Trieste nel 1947, in occasione della sua prima mostra personale alla "Galleria Trieste" - fu donato subito dopo dall'autrice al Museo Revoltella grazie alla mediazione del pittore Carlo Sbisà (cfr. Verb. Cur. 3 marzo '47). L'opera aveva suscitato i commenti entusiastici dei critici dell'epoca, tra i quali Remigio Marini che aveva scritto: "Quel blocco di tufo vicentino, da cui sembra essersi disviluppata potente e prepotente la figura di quella donna, ripiegata in un contenuto sforzo, ma che protende in alto la bella testa vibrante di passione e di pensiero come a vittoriosa sfida sulla materia ribelle, fieramente certa che il colpo ch'ella prepara con la mazza in mano sarà il colpo definitivo e rivelatore, quel blocco di pietra superbamente animato e vivo può essere l'immagine di un'artefice e insieme di un'idea, il ritratto morale di una volontà e di un destino" (Marini 1947). Oltre a rispecchiare efficacemente il temperamento dell'artista, quest'opera, per il rigore plastico e l'energica scansione delle masse, rivela l'attenzione della Bernt alle forme massicce e squadrate della plastica romanica e ricorda, nell'impostazione, le figure stilofore di Arnolfio di Cambio. In un autoritratto precedente, esposto alla Mostra Sindacale della Venezia Euganea del 1943, la stessa autrice aveva limitato l'auto-rappresentazione alla sola testa e conferito grande forza comunicativa all'espressione del volto, stilisticamente caratterizzato dall'influenza martiniana. Una decisiva evoluzione stilistica nell'arte della Bernt era avvenuta dopo il suo trasferimento a Parigi, dove era stata chiamata nel 1952 per decorare la cappella del transatlantico Bretagna ed era rimasta fino alla morte, nel 1995. Al contatto diretto con gli artisti parigini si può, infatti, far risalire il suo avvicinamento al "Nouveau Realisme" caratterizzante la sua ultima produzione.
Bressan N., Schede, in Il Museo Revoltella di Trieste, Vicenza 2004
Marini R., Habemus sculptricem, in La Voce Libera, 1947/03/17