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Modotto è soprattutto pittore di paesaggi attinenti ad un medievalismo metaforico, vicino a certa pittura simbolico-metafisica che riteneva fosse di De Chirico come delle fantasie surrealiste, e d’altra parte di un certo “novecentismo” primitivista in auge negli anni Trenta. Non stupisce perciò che, quando egli affronta il tema del ritratto, lo faccia al di fuori di ogni realismo di tradizione, isolando le fisionomie in un contesto che attribuisce loro un’aura per così dire esoterica. E infatti in tutti e due i quadri la scelta è quella di isolare i volti su uno sfondo nero in cui affondano anche le vesti, salvo il biancore dei colletti, che è necessario a fare da piedestallo ai volti medesimi. Cosicché la natura “ufficiale” dei due ritratti viene salvaguardata sul piano della somiglianza, ma stravolta sul piano del risultato complessivo, che è tra il simbolico e l’onirico, cioè della stessa natura di cui sono le sue pitture “medievaliste”. Con maggior intensità, a noi sembra, nel ritratto di Mario Bertacioli cui giova, nel senso detto, l’infoltirsi dell’ombra nella parte destra del volto.
Pauletto G., Pitture e sculture del XX secolo, in La Collezione d'arte della Fondazione della Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone. Opere del Novecento, Ginevra/ Milano 2008, 2