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L'antica Piquentum (oggi Buzet) si localizza nell’Istria interna centro-settentrionale. Già sede di un castelliere protostorico, dall’epoca della colonizzazione romana dell’Histria, che non coincidette con una totale romanizzazione del substrato illirico-celtico, fu sede di un piccolo centro agricolo (forse un vicus) nell’ambito dell’ager colonicus del territorio dell’alto e medio fiume Quieto, facente capo al municipium di Montona. Nel II sec. d.C. le fonti letterarie menzionano per la prima volta l’esistenza di un castellum di Piquentum (C.Ptolomaeus, Geographia, III, 1, 24), che continuò a essere sede di un presidio militare ancora per tutto il periodo romano e bizantino, trovandosi al centro degli avvenimenti che, tra la fine del VI e gli inizi del VII sec., videro avvicendarsi a controllo del territorio, per brevi periodi, Longobardi, Avari e Sloveni. Con la fine del dominio bizantino, alla metà dell’VIII sec., le sorti della fortezza sembrano avviate a una progressiva decadenza. Per il periodo romano, i riscontri archeologici sono ancora piuttosto lacunosi, limitandosi a ritrovamenti epigrafici sepolcrali e votivi di I-II sec.d.C., e ad alcune evidenze funerarie nelle zona di Fontana e Goričica (Goricizza), sul lato ovest del colle; meglio documentato è, invece, l’età altomedievale, grazie alla conoscenza di tre siti cimiteriali (Mala Vrata, Bresaz, Meizza), ognuno contraddistinto da modalità e tempi di occupazione propri. Sul versante settentrionale del colle di Piquentum si sviluppava la necropoli di Mala Vrata (Piccole Porte); scoperta accidentalmente durante i lavori agricoli, essa venne largamente saccheggiata e distrutta alla fine del XIX secolo, finquando, nel 1894-1895, il procuratore distrettuale S. Gandusio non decise di avviare due campagne di esplorazione che portarono a individuare 8 sepolture a semplice fossa, tutte situate nello stesso podere, a breve distanza l’una dall’altra e disposte su file orientate; cinque di esse erano dotate di corredo. Dalla scarsa documentazione esistente circa questi ritrovamenti si ricava che la necropoli, originariamente estesa ben oltre il sito indagato, servisse come luogo di inumazione per gli abitanti della città, trovandosi poco fuori delle mura. I reperti associati alle tombe (in tutto 12 pezzi documentati tra orecchini, anelli e monete), per lo più conservati, indicano che venne usata per lungo tempo, sia dai "primates" locali durante il periodo bizantino (come dimostra la presenza di oggetti di lusso di importazione) che, in seguito, nel IX secolo, da Slavi immigrati. La necropoli di Bresaz si localizza a est del colle di Pinguente; dato il carattere prevalentemente casuale delle esplorazioni, succedutesi senza controlli ufficiali a partire dal 1894, non se ne conosce la reale estensione e conformazione, ma il genere di reperti provenienti dalle oltre 10 tombe accertate fa ritenere che il luogo accolse le sepolture di elementi longobardi stanziati per brevi periodo nel castello la fine del VI e gli inizi del VII secolo. Tra tutti i ritrovamenti qui effettuati spicca quello della tomba di un militare di alto rango, inumato con il proprio armamento ordinario, insieme con il cavallo, riccamente bardato; le caratteristiche esatte del ritrovamento non sono note (“tagliando la strada di Rozzo la collina detta Bottesina e Bresaz si trovarono una massa di pezzi da cavallo”), ma sono documentati, e per lo più conservati, 32 oggetti facenti parte del corredo, tra cui le finiture in argento del cavallo, che testimoniano l’eccezionalità del rinvenimento. Di fronte al sito di Bresaz si sviluppava la grande necropoli di Meizza (Mejica), rimessa in luce sull’omonima altura, presso il colle Romania, durante scavi sistematici condotti dapprima dal Puschi tra il 1895 e il 1897, e in seguito dalla missione del Museo archeologico di Pula nel 1966 e 1970, che praticò alcuni sondaggi anche lungo i fianchi della collina. Grazie all’individuazione certa di oltre 250 tombe, per lo più dotate di corredo, in un’area di ca. 800 mq , il sepolcreto si qualifica come uno dei più vasti e importanti siti cimiteriali di tutta l'Istria, potendo vantare anche un lungo periodo di attività, dall’ultimo quarto del VI secolo d.C. fino all’età carolingia, sebbene la maggioranza delle sepolture si ascriva al secolo VII. Le tombe occupavano principalmente l’altipiano che costituisce la sommità del colle ed erano organizzate secondo diversi orientamenti e differenti tecniche di inumazione, tali da permettere un’ipotesi di periodizzazione della necropoli. Si trattava, con pochissime eccezioni, di tombe individuali a fossa scavate in uno strato di argilla gialla, contenenti resti scheletrici in posizione supina, con le braccia distese lungo il corpo, oppure incrociate sul petto o unite sul ventre. La loro profondità variava dalle poche decine di cm sotto il piano di campagna (soprattutto nel settore occidentale), a 1 m (settore meridionale), fino ai 2 m. Le varie tecniche di sepoltura riscontrate possono essere schematizzate in 5 tipologie principali : 1) sepoltura semplice, nella nuda terra; 2) un recinto di pietre locali, sbozzate, circondava in parte o totalmente il corpo dell’inumato; 3) una pietra piatta era disposta sotto il capo, a mo’ di cuscino; 4) il corpo, o solo il capo, o solo i piedi del defunto, erano ricoperti da pietre; 5) al “recinto” di pietre era unito il “cuscino” lapideo oppure la copertura parziale o totale del corpo con pietre (sepoltura complessa). Dietro il capo del defunto, inoltre, talora trovavano posto lastre verticali con funzione di segnacolo. Sulla base di questi elementi, desunti dai taccuini del Puschi illustranti gli scavi del 1895-1897 e dalle notizie degli scavi 1966/ 1970, integrandoli con osservazioni tratte dalle relazioni stratigrafiche tra le varie tombe e dai materiali di corredo, M. Torcellan ha evidenziato come la sepoltura semplice, nella nuda terra, fosse la più diffusa e riguardasse tombe con tutti gli orientamenti, mentre la deposizione su cuscino lapideo prevalesse nelle tombe con orientamento E-O, considerato il più recente; a una fase anteriore apparterrebbero in prevalenza le sepolture con recinto di pietre, mentre le tecniche più antiche risulterebbero essere quelle complesse. Le zone centrale e settentrionale dell’area furono utilizzate indistintamente durante tutto il periodo di attività della necropoli, mentre il settore meridionale, sul ciglio del pendio, mostrerebbe un'occupazione più limitata nel tempo e più recente. Ancora riguardo l’icnografia del cimitero, si è rilevato come un gruppo di tombe della zona sud-orientale – alcune delle quali sicuramente appartenenti a individui di alto rango - si disponessero intorno a un’area quadrata di rispetto, che potrebbe aver ospitato originariamente una struttura architettonica; una situazione simile si riscontra anche nel margine meridionale delle necropoli, rimesso in luce durante le ricerche del secolo scorso. In questa stessa occasione si constatò come sotto il ripido versante orientale della collina, a una certa distanza dall’altopiano, avessero trovato posto tombe della fase più avanzata di vita del cimitero, databili in epoca carolingia (Marušić). Circa le pratiche di deposizione, oltre alla frammentazione rituale del vasellame ceramico, sono state notate in pochi casi tracce di carbone, quale residuo dei fuochi rituali accesi sul bordo o sul fondo della fossa prima della deposizione del defunto: una pratica di origine pagana che rimase in uso a lungo nelle campagne anche dopo la cristianizzazione delle genti autoctone, e che solo in tre delle sepolture di Meizza - dotate di caratteristiche peculiari - potrebbe attribuirsi a elementi slavi immigrati nell'Istria bizantina. Il gran numero di oggetti recuperati, appartenenti a corredi maschili e femminili (423 nelle sole esplorazioni ottocentesche, tra orecchini, anelli, aghi crinali e da cucito, armille, fibbie, fibule, acciarini, coltelli, frecce, fusarole, pettini, collane di perle di vetro, contenitori di ceramica e di vetro), si presta per un’analisi complessiva della popolazione che utilizzò l’area, stimata approssimativamente intorno alle 60 unità per generazione (Torcellan). I manufatti rispecchiano modelli tardoantichi e bizantini, ma portati a un estremo grado di semplificazione sia formale che nei materiali utilizzati,soprattutto per qual che riguarda i monili femminili, tra i quali massiccia è la presenza di orecchini “a tre cerchi” in bronzo, denominati anche “pinguentini” proprio perché caratteristici di Meizza. Stante la scarsità di oggetti di lusso e il ritrovamento di sepolture di armati, si può ritenere che la necropoli – classificata dal Vinski tra quelle con pronunciate caratteristiche locali - si fosse sviluppata a uso di un ceto non molto elevato, probabilmente di coloni che vivevano nella zona sottoposta ai “primates” del castello e che svolgevano anche funzioni di difesa militare. In generale, dunque, si trattava di genti autoctone, dotate di peculiarità culturali piuttosto sviluppate, con tratti comuni ad altri insediamenti istriani, particolarmente quelli dislocati lungo il corso del fiume Quieto, in un quadro che certamente risentiva del relativo isolamento della zona dalle grandi direttrici migratorie europee. Nelle fasi tardive di vita della necropoli (IX sec.), sembra attestata infine la presenza di pochi elementi paleoslavi.
L'importante ruolo strategico rivestito dal castello bizantino di Piquentum era forse legato alla presenza di una linea di difesa militare lungo il fiume Quieto, stando anche all'alta densità di necropoli di VI-VIII sec., oltre a quelle pinguentine, individuate nella valle del Ningus. Tra tutte, la vastità e articolazione della necropoli di Meizza testimonierebbe il ruolo preminente di Piquentum nell'ambito dell'organizzazione difensiva del territorio. Con l'avvento della dominazione franca in Istria, la vocazione militare del sito andò probabilmente scemando, a favore di un assetto agricolo-produttivo basato sul potere dei "possessores terrae"
Mondin C., La viabilità nell'Istria interna in epoca romana, in Quaderni di Archeologia del Veneto, 2004, XX
Torcellan M., Le tre necropoli altomedievali di Pinguente (Ricerche di archeologia altomedievale e medievale, 11), Firenze 1986
Marušić B., Breve contributo alla conoscenza della necropoli altomedievale di Meijca presso Pinguente, in Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Trieste 1979-1980, X
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