STRUTTURE PER IL CULTO, secc. V-XVIII d.C.

Oggetto
STRUTTURE PER IL CULTO - edificio di culto ed annessi
Denominazione
chiesa di San Giovanni al Timavo
Localizzazione
Duino Aurisina (TS) San Giovanni
Cronologia
secc. V-XVIII d.C.
Codice scheda
SI_74

La basilica di S. Giovanni del Timavo o in Tuba (1) costituiva il fulcro religioso dell’area del Timavo. Le prime attestazioni di edifici di culto cristiani sono rappresentate dalla basilica ad abside poligonale e dai mosaici della seconda metà del V secolo identificati al di sotto del piano pavimentale della chiesa gotica (2). Ad una fase intermedia tra la chiesa gotica e quella originaria è riferibile un ampliamento della zona absidale con l’edificazione di tre absidi semicircolari. A Nord-Est della basilica si trovano le fondazioni di un battistero, forse connesso ad una delle prime due fasi dell’edificio di culto, intuito dal Kandler e da lui ritenuto di pianta esagonale (3), ma riportato circolare nel rilievo del Mirabella Roberti (4). Alla chiesa era legato un monastero e durante scavi eseguiti intorno al 1880 a Sud dell’edificio religioso sono state rinvenute strutture interpretate come celle monastiche (5). Apparentemente intorno alla metà del XIII secolo, datazione fondata esclusivamente su criteri stilistici, “la chiesa deve essere stata divisa in tre navate con copertura a volte, come suggeriscono alcune chiavi di volta con teste di profeti, con agnello portacroce e con l’Eterno benedicente rinvenute durante lo scavo della navata o incluse nei muri della chiesa”(6). L’ultima fase architettonica della chiesa di S. Giovanni del Timavo è in stile tardo-gotico ed è costituita da un’abside poligonale, munita da robusti contrafforti scalari ai quattro angoli e coperta da volte reticolate, con quattro finestre a modulo allungato con arco a sesto acuto. Simili aperture ricorrono anche nella parete Sud della navata. 1 = Sul nome di S. Giovanni si veda: CREVATIN 1976, pp. 24-24, secondo cui l’etimo deriverebbe “dal (basso) latino Tŭba, non nel senso di “tromba”, bensì in quello di “condotto naturale o artificiale delle acque (terrestri e sotterranee)”, sinonimo dunque di Tŭbus”. 2 = MIRABELLA ROBERTI 1952, p. 539; MIRABELLA ROBERTI 1976, passim; CUSCITO 1989, pp. 101-102. 3 = KANDLER 1849, pp. 50-52. 4 = MIRABELLA ROBERTI 1976, Fig. 1. 5 = BUDINIS 1928, p. 8, ma l’A. non cita la fonte. 6 = CUSCITO 1989, p. 118.

La chiesa e il monastero di matrice tardoantica e altomedievale non sorgevano isolati. Rappresentavano invece il punto di riferimento religioso di un’area insediativa complessa. Molto probabilmente ad essi era connesso un circostante abitato (1) ed erano legati a sistemi di approdo, all’interno del cosiddetto “porto del Timavo”. Questo è nominato in un documento del 1428, una Ducale rilasciata dal Comune di Grado “colla quale fu concesso a livello l’esclusivo diritto di pesca in tutte le acque Palludi, e lidi dalla punta del Tagliamento sino al Porto di S. Giovanni della Tuba” (2). Alla fine del XV secolo (3), su richiesta dei triestini, l’imperatore Federico III vietò che nel porto del Timavo fossero scaricati vini d’importazione e ferro che non provenissero da Trieste. Dal 1509 i castellani di Duino Sigismondo e Giovanni Hofer favorirono le attività dello scalo, concorrente col porto di Trieste e fonte di significative entrate per la dogana e per la grande fiera annuale che vi aveva luogo, attiva già nel Trecento (4). Nel 1540 Mattia Hofer era riuscito a deviare gran parte del commercio triestino verso S. Giovanni e nel 1541 carniolici e veneziani vi impiantarono un mercato, organizzato anche per il trasporto dei pellegrini (5). Nel 1545 i triestini, con cinquecento uomini armati saccheggiarono il mercato, devastandone le cantine. Tra il 1552 ed il 1556 la permanente concorrenza duinate determinò nuove reazioni triestine, con incursioni nel porto o atti di pirateria alle bocche del Timavo, attraverso il saccheggio di navi cariche di granaglie. Nel 1601 la dogana del porto che era di proprietà del Capitolo di Aquileia fu data in permuta ai conti della Torre (6). Il porto era ancora attivo nel 1762 come attesta un documento riguardante il “Porto Marittimo di San Giovanni soggetto alla giurisdizione della Signoria e Capitaneato di Duino”, nel quale si legge che vi “si caricano, e scaricano delle Barche li colli di Mercanzia”, giustificando il “dispendio non piccolo nel mantenere, e tenere riparate le rive del suddetto Fiume, ove; in San: Gio: poi vi sia un Spedizioniere trattenuto, e pagato dalli Mercanti, il quale riceve, e spedisce li Colli ed altre Robbe che vengono condotte, e levate dalle Barche: Li dazi poi di ogni cosa si pagano all’Off.co della Ces.a Reg.a Muda esistente in S. Giovanni”(7). Il porto poteva contare su un sistema viario che nel trecento era oggetto di cure finalizzate naturalmente anche allo sviluppo dei traffici commerciali. Lo Schmid descrive il ponte presso quello lungo la strada statale 14: “Il ponte apparteneva senza dubbio alla strada che da Aquileia, passando preso le polle del Timavo, andava da una parte a Trieste e dall’altra a Tarsatica (Fiume). La strada è segnata nella Tabula Peutingheriana e ricordata nell’Itinerarium Antonini (...)”(8). Fondamentalmente l’area di S. Giovanni immetteva all’antica via carraia che attraversava i monti della “Vena” (= arteria stradale) per entrare nella penisola istriana dopo aver toccato i centri di S. Pelagio, S. Croce, Prosecco, Opicina e Basovizza. In questo percorso confluivano le strade della regione danubiana, attraverso Aidussina e la valle del Vipacco, il vallone di Gorizia, il varco di Basovizza e Corgnale e S. Dorligo della Valle (9). 1 = PESARO, SICCO 1996: gli autori citano le illustrazioni e gli autografi dedicati alla storia del Cividalese, ultimati tra il 1771 ed il 1794, del canonico Stefano Sturolo, notando come questi riporti: “vedeasi pure (come si vede tutt’ora) la rovinata rocca del Carso ed il monastero di S. Giovanni detto del Carso di padri Benedettini; ora poi la sola chiesa con un picciolo borgo tutto derelitto ed abbandonato per l’aria cativa del sotto posto Timavo e mare. 2 = SCHMID 1984, p. 20. 3 = Dove non altrimenti indicato, tutte le seguenti notizie sul porto di S. Giovanni di Duino, dove non altrimenti indicato, sono tratte da UBALDINI 1987, pp. 71-77 che si rifà a PICHLER 1882, TAMARO 1933; TAMARO 1976. 4 = JOPPPI 1884: “Nel 1319 i Signori di Duino chiesero provvedimenti a Venezia contro il capitano di Belforte che impediva la pesca ai loro sudditi e ne voleva visitare le barche; vietava ai mercanti di recarsi alla fiera di S. Giovanni di Duino ai cui abitanti non permetteva la vendemmia. 5 = KANDLER 1864, p. 40: “in Duino approdavano vini d’Istria di Romagna, ferro, lini, grani del Carnio, e vi si imbarcavano i pellegrini che a frotte recavansi a visitare Roma; cose tutte che Trieste reclamava per sè, come Emporio esclusivo della Karsia”. Probabili riflessi del transito di pellegrini sono le attestazioni epigrafiche di S. Pelagio, all’interno della diocesi goriziana, filiale di S. Giovanni del Timavo. In particolare si fa riferimento a quella commemorativa della consacrazione della primitiva cappella tardogotica il 30 luglio 1429, il “quinto giorno dopo la festa dell’apostolo Giacomo”, con allusione, come ha notato il Messina, “alla natura di cappella viaria lungo un percorso frequentato da pellegrini” (MESSINA 2003, pp. 181, 187-188, cat. 3a), forse diretti agli approdi controllati dai signori di Duino, nel corso dei percorsi romei e ierosolimitani, come sembra suggerire l’arma di questi riprodotta accanto al testo”. 6 = KANDLER 1864, p. 39: “Tre erano le dogane, l’una alla chiesa di S. Giovanni, l’altra alle scaturigini dei Tavoloni, per la colonia di Cividale di poco conto; la terza a S. Antonio, fra l’isola dei Bagni e la terra ferma di Monfalcone, ed era per questa anticha borgata il cui porto era frequentatissimo, per le comunicazioni con Udine, ancor nel secolo passato, interrito per incuria. Ancor nella metà del secolo passato, sul declivio ove sta osteria presso alla Chiesa, v’era l’edificio per la dogna e pel curato e magazzini per merci; presso la chiesa era l’approdo”. 7 = SCHMID 1984, pp. 17-18. 8 = SCHMID 1979, pp. 42-43: “Quanto alla ricostruzione del ponte e della strada in epoca patriarcale rileviamo dal Codice Diplomatico Istriano (...) il testo del decreto che nel 1371 affidava al fiorentino Stefano Bonaquisti l’incarico di provvedervi: “Nos Marquardus Dei gratia Sanctae Sedis Aquilegensis Patriarcha tenore presentium notum facimus universis presentes nostras inspecturis, quod cun Strata nostra per quam itur de loco nostro Montisfalconi versus Duinum et abinde Istriam sit in tantum destructa, et potissime pons lapideus prope Sanctum Johanem de Carsis, quod nisi de subito reparetur totaliter deruetur, et ex quo nos, et singuli Mercatores transeuntes dampna, et pericula incurrimus quotidie, unde juxta antiquam consuetudinem hactenus abservata, commisimus et committimus per presentes dilecto nobis Stephano Bonaquisti de Florencia Mutario nostro Montisfalconi, de cujus prudentia circumspecta plenam in Domino fiduciam obtinemus, ut magistros idoneos et sufficientes ad reparationem stratae, et pontis predictorium debeat invenire”. 9 = BORRI 1969; VEDALDI IASBEZ 1994.

BIBLIOGRAFIA

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