STRUTTURA DI FORTIFICAZIONE, secc. XII-XVIII d.C.

Oggetto
STRUTTURA DI FORTIFICAZIONE - castello militare
Denominazione
castello di Moccò
Localizzazione
San Dorligo della Valle (TS) Moccò
Cronologia
secc. XII-XVIII d.C.
Codice scheda
SI_78

Sulla vetta del colle di Moccò, organizzata in terrazzi, rimangono scarsi lacerti murari sicuramente riconducibili al castello e in diversi punti sulla roccia calcarea si notano tagli artificiali per l’imposta di strutture murarie. Il declivio è caratterizzato dalla presenza di abbondanti residui di crollo. In un progetto di restauro del 1510 di Bernardin Cargnielo sono contenuti elementi che permettono di ricostruire alcuni aspetti della struttura: “doi torre che sono sovra la cisterna (...), i merli delle mure (...), doverse far un bastion che venga a brazar de fuora de li doi revelini (...), el qual se faza de piere se traterà de la torre” (1). 1 = I diarii di Martino Sanuto, Venezia 1883, vol. X, coll. 215-216; COLOMBO 1999, pp. 459-460.

Secondo S. Flego e L. Rupel il castello sarebbe l’erede dell’insediamento protostorico-tardoantico localizzato sul vicino monte S. Michele dove, tra l’altro, era situata l’omonima chiesetta, citata per la prima volta nel 1425 e abbandonata alla fine del XVIII secolo (1); gli stipiti d’ingresso reimpiegavano tre frammenti di una stele funeraria romana (2). Il castello dominava la contrada di Zaule, a discapito dei comuni di Capodistria e di Muggia (3). Il territorio, con un paesaggio che doveva essere caratterizzato da ampie distese boschive, era attraversato dall’asse viario che scendeva dal Carso dirigendosi da un lato verso Trieste attraverso lo snodo di Longera, dall’altro verso Capodistria e verso le città costiere dell’Istria Nord-occidentale. L’itinerario pubblico era percorso da mercanti che con i loro convogli di animali da soma trasportavano all’andata farina e grano e al loro ritorno olio, vino e sopratutto sale (4). Un’altra fortificazione nelle vicinanze del castello di Moccò è il castello di Vinchimberch, la cui costruzione fu avviata nel 1249 da “Almerico filio quondam domini Ravini de Charsperch”, su autorizzazione del vescovo di Trieste Ulrico, con il consenso del Capitolo (5). Nel 1342 il castello, rimasto sempre legato da un lato alla Chiesa triestina, dall’altro ai conti di Gorizia, venne definitivamente aggregato al patrimonio Goriziano (6), con la conseguente reazione di Trieste che, valutando la fortificazione pericolosa in quanto troppo vicina a Moccò, procedette alla sua distruzione nel 1361 (7). Le rovine della struttura sono tutt’ora ben visibili nelle fotografie aeree, mentre sul terreno rimane un ammasso di crollo parzialmente coperto dalla vegetazione. All’interno di una cinta circolare era eretto un torrione attorno al quale si disponevano altre strutture con probabili funzioni residenziali e di servizio (8). Accanto al castello si trovano i ruderi della chiesa di S. Lorenzo, che non è databile, almeno su base documentaria (9). Sul versante opposto della Val Rosandra, di fronte al castello di Vinchimberch, si trova il “taber” di Draga (10), una struttura fortificata che, al pari del “tabor” di Monrupino o Repentabor (11), fu eretta agli inizi del Cinquecento in risposta alle incursioni turche sull’altipiano carsico (12). Si tratta di fabbriche che storicamente escono dal Medioevo del territorio triestino, riconducibili a tipologie insediative assai diversificate, genericamente legate alla protezione delle popolazioni distribuite nei circostanti centri rurali e prive di legami con i vettori di collegamento tra il litorale e l’entroterra. Oltre alle fortificazioni, alcune delle quali di possibile origine tardoantica (quella individuata nella località di Siaris, al centro della val Rosandra, nei pressi della chiesa di S. Maria) (13), tutta l‘area compresa tra la Val Rosandra e lo sbocco al mare dove erano le saline di Zaule (già sede del più importante insediamento rurale di epoca romana relativo al territorio di Tergeste), è caratterizzata da numerose testimonianze di epoca medievale. In particolare, un settore abitato di un certo rilievo fu l’area di Bagnoli della Rosandra: l’insediamento aveva carattere sparso, concentrandosi però sulla sommità del monte Usello, detta Na Burdo, dove un tempo sorgeva il paese di Brda e dove sembra essere registrata una sequenza insediativa estesa dall’epoca romana al Medioevo (14); il paese è citato per la prima volta nel 1309 e l’ultima notizia risale al 1680 (15). A Bagnoli, tratti dell’acquedotto romano della Rosandra sono stati riutilizzati in epoca tardoantica o altomedievale a scopo funerario, come attestano sepolture individuate nel 1941 e nel 1954, associate ad anfore tardoromane (16). Dal Duecento le acque del torrente Rosandra erano sfruttate per azionare mulini. Uno di essi, operante a Zaule, è menzionato in un documento di compravendita del 1276, assieme ad altri due che erano di proprietà del vescovo e di Enrico di Moccò; nel 1579, i mulini attivi lungo il torrente che fungeva da confine naturale tra il territorio della Signoria di S. Servolo e quello del Comune di Trieste erano ben diciotto (17). Questo sistema insediativo è in rapporto ad un’organizzazione di approdi che si intravede su base documentaria. A S. Sabba, Durante gli scavi di una follonica di epoca romana presso S. Sabba furono notate “(...) rovine di moli che osservansi in fondo al mare e che una volta formavano in quella insenatura un vero porto” (18). Il Puschi nota, infatti, come “in quanto all’antichità di questo porto non dubito di errare facendolo risalire all’epoca romana. I due moli che sono meglio conservati si riconoscono facilmente per la manifattura di quel tempo, del terzo nulla può dirsi per lo stato in cui si trova, essendo eziandio probabile ch’esso sia stato fabbricato in una epoca a noi più vicina (…)” (19). 19 = Puschi ipotizza di ricondurre le fasi più recenti del porto al barone Rigoni “magnate d’Ungheria e possessore d’una tenuta in quella contrada”, rifacendosi ad informazioni avute da A. Hortis ritrovate nei fondi dell’Archivio Diplomatico, “il quale da un proprio porto sito in quella riviera esercitava il commercio de’ grani a danno de’ dazî della città di Trieste”, ma senza specificare quando. Tuttavia, descrive un fabbricato quadrilatero sito presso le strutture portuali, forse appartenente al Rigoni, che ha restituito monete veneziane del XVII secolo e che “a giudicare dalle fondamenta denudate era forse secondo la costumanza di que’ tempi munito di torri”). Il Puschi conclude comunque la propria descrizione del porto di S. Sabba con una considerazione che fa luce sulla complessa diacronia del sito: “ciò che però merita di essere studiato è la sua ubicazione ad una costa di facile approdo e non esposta all’infuriare de’ venti, quale non potrebbe trovarsi in altra parte di quella riviera. La sua vicinanza al varco di S. Lorenzo lo metteva in relazione con quell’antichissima strada commerciale, dalla quale distava poco più di cinque miglia romane; onde era visitato da navi e da mercanti forse prima ancora della costruzione de’ moli, e continuò ad esserlo in epoca posteriore alla dominazione romana. Egli è chiaro pertanto che su quella costa sorgessero una volta fabbricati di varia natura e le cui rovine giacciono ora sepolte nell’oblio” (PUSCHI 1885, pp. 384-385). Un altro approdo, prima di Stramare e poi Muggia, è segnalato dal Kandler in S. Clemente, “di cui non riconobbimo tracce, frequentato ed importante ancora nel 1500” (20) . La località è di dubbia identificazione ma il Degrassi propende per l’area delle Noghere, sulla base della presenza di una cappella dedicata a S. Clemente (21). La località di S. Clemente compare nel 1283 quando vi fu stipulato un patto di alleanza tra i goriziani e il patriarca di Aquileia, contro Venezia (22). 1 = FLEGO, RUPEL 1993, p. 187. 2 = Vd. inoltre: FLEGO, ŽUPANČIČ 1991, pp. 36-37. 3 = COLOMBO 1999, pp. 434-438. 4 = COLOMBO 1999, pp. 418, 435. FLEGO, ŽUPANČIČ 1991, p. 10: “Nella zona presa in considerazione ci sono numerosi passaggi naturali tra la costa e il retroterra carsico, ma anche verso l’Istria. Già nel Medioevo si svilupparono delle vie di comunicazione, legate anche al commercio del sale, che passavano nei pressi del castello di Moccò e del castello di S. Servolo”. FOSCAN, VECCHIET 2001, p. 88: “Alcuni storici confermano la presenza di un intenso traffico mercantile lungo i sentieri del Rosandra, nonostante l’asprezza del percorso. Dalla Carniola e dalla valle del Vipacco i mussolati, così venivano detti i conducenti degli animali da soma, portavano a Trieste e sulla costa istriana principalmente granaglie, farine, pollame, conigli, suini e ovini, strada inversa facevano i arichi del prezioso sale, coltivato nelle saline di Zaule e della Valdirivo”. 5 = BABUDRI 1921, pp. 196-197; COLOMBO 2000, pp. 191, 230-231. Sull’identificazione del castello che nel diploma vescovile non è denominato Vinchimberch ma è semplicemente descritto come posizionato “in monte quodam posito supra Dinga”: COLOMBO 2000, pp. 191-192. COLOMBO 2000, p. 196: Qualunque fosse, o non fosse, il nome della località, quest'ultima assunse la nuova denominazione di “Winchimberch” (in questa forma compare citata nell’attestazione più antica, associata al predicato della famiglia, v. JOPPI 1886, p. 36, n. XXXVI). Un toponimo tedesco, evidentemente indicativo dell' etnia che ne determinò la scelta, ma non fuori luogo. Di quell'idioma erano i conti, patrocinatori dell'operazione, i Carsperch, iniziatori del casato, e tutto lo stuolo di ministeriali che gravitava intorno ai dinasti goriziani. Una società chiusa, estranea al modo di vivere cittadino, di probabile origine carinziana o tirolese, trapiantatasi in queste regioni gradatamente, prima al seguito dei vescovi - sino alle soglie del Duecento quasi tutti d'oltralpe - poi dei conti I di Gorizia”. 6 = COLOMBO 2000, p. 208: “Il 13 giugno, a Greifenburg, i conti Alberto, Mainardo ed Enrico procedono di comune accordo alla divisione dei beni familiari; nell'elenco di quelli spettanti a Mainardo ed Enrico è compreso «Venchenwerch», ormai accomunato agli altri castelli goriziani del Carso, di più trasparente proprietà: Swarzenech, Raspo e Castelnuovo (WIESSNER 1968, pp. 62-64)”. 7 = COLOMBO 2000, pp. 209-212. 8 = COLOMBO 2002, pp. 223-229. 9 = COLOMBO 2002, p. 220. 10 = COLOMBO 2000, pp. 209-212. 11 = TASSO JASBITZ, PAROVEL 1995. 12 = PEDANI FABRIS 1994. 13 = FLEGO, ŽUPANČIČ 1991, pp. 34-36; FLEGO, ŽERIAL 1992, pp. 117-124; COLOMBO 2000, pp. 186-188. 14 = FLEGO, ŽUPANČIČ 1991, pp. 31-33. Sulla base però di elementi archeologici che andrebbero approfonditi ed implementati. 15 = FLEGO, ŽUPANČIČ 1991, pp. 28, 31, 38; D’ERCOLE 2000, pp. 155-156. 16 = FLEGO, ŽUPANČIČ 1991, pp. 26-27, 32-33. 17 = Proposte per la progettazione ..., 1987, passim; D’ERCOLE 2000, p. 157; FOSCAN, VECCHIET 2001, p. 88. 18 = PUSCHI 1885, p. 386. 19 = PUSCHI 1885, p. 387. 20 = KANDLER 1870. 21 = DEGRASSI 1957, p. 35. Alla cappella di S. Clemente fa riferimento anche F. Colombo (1997, p. 141) che riporta: “Appena del XII secolo devono essere i possessi terrieri dei Templari e poi del Priorato dei Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme in una vasta area da Muggia ad Ospo, dovuti al possesso della chiesetta di S. Clemente e di un “hospitium”, una mansio nella valle detta appunto di S. Clemente (poi valle delle Noghere) attraversata dl torrente omonimo (poi rio Ospo): il cosiddetto “palazzoto” in località Malsòn presso Rabuiese, in un snodo stradale importante per i pellegrini diretti in Terrasanta”. 22 = JOPPI 1886, p. 59, n. XLVII; COLOMBO 2000, p. 201

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