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Originario di Vercelli, Antonio Labacco esordì giovanissimo come allievo di Bramante, ponendosi successivamente al servizio di Antonio da Sangallo il Giovane, di cui divenne il più stretto collaboratore nel cantiere della basilica di San Pietro. Fermo sostenitore del progetto sangallesco, Labacco si trovò completamente escluso dall'impresa quando la direzione dei lavori fu definitivamente affidata a Michelangelo, intenzionato a modificare radicalmente le soluzioni adottate dal suo predecessore. Dopo aver abbandonato il cantiere vaticano Labacco poté occuparsi dell'opera che stava portando avanti da tempo: un "Libro" dedicato alla ricostruzione architettonica dei monumenti della Roma antica". L'idea gli era stata suggerita dall'interesse per i vestigi del passato e dall'accurato lavoro di rilievo e misurazione che per anni aveva condotto sugli edifici in rovina, dei quali intendeva recuperare l'originaria integrità in una serie di bellissime tavole che dovevano offrirgli al contempo la possibilità di rappresentare i vari ordini architettonici classici, secondo la dottrina di Vitruvio. La pubblicazione del volume di Antonio Labacco procedette attraverso numerosi rimaneggiamenti. Il volume uscì in due edizioni diverse nel 1552, a cui seguirono una nuova edizione nel 1557 e altre due nel 1559, senza contare quelle pubblicate a Venezia a partire dal 1567 e le riedizioni romane. Le undici tavole della Fondazione Coronini sembrano appartenere alla seconda edizione del 1552. Stando alla dichiarazione dello stesso Labacco, contenuta nella prefazione "a li lettori", molti studiosi sono stati concordi nell'individuare l'autore delle tavole incise a bulino in suo figlio Mario il quale si era offerto "ad ogni fatica, per insin al'intagliar parte d'esse stampe". Nella raccolta di Cassiano dal Pozzo, il famoso museo cartaceo, si trova un consistente nucleo di fogli che risultano chiaramente legati alle illustrazioni del "Libro". Mentre la maggior parte degli schizzi e degli studi preparatori per le stampe sono attribuibili allo stesso Antonio Labacco, per la bella invenzione del frontespizio è stato invece avanzato il nome del pittore Francesco Salviati, la cui amicizia con l'architetto vercellese è ricordata da Giorgio Vasari.
Bragaglia Venuti C., Schede, in Stampe del XV e del XVI secolo, Gorizia/ Torino 2011