in basso a destra: P Galliussi
Forme astratte.
Pietro Galliussi, artigiano specializzato nella cementazione, approda piuttosto tardi all’arte, esordendo con saggi pittorici dedicati alla vita contadina del Friuli, una produzione di paesaggi e figure che richiama lo stile di Ottone Rosai. Ben presto l’artista fa propria in pittura la lezione dello spazialismo di Lucio Fontana, realizzando dei quadri dove il colore è sparso sulla tela con sgocciolature guidate seguendo movimenti concentrici su degli sfondi scuri. Da questo procedimento Galliussi ottiene forme simili a corpi celesti nell’oscurità degli spazi siderali, che richiamano fortemente i Concetti spaziali del maestro italo-argentino. Superata anche quella fase, l’artista crea un mondo popolato da un bestiario fantastico, di cui quest’opera fa parte, composto da chimere dalle molte teste e molte membra, debitrici di certe raffigurazioni di Max Ernst (si pensi agli Oiseaux degli anni Quaranta), articolate in un groviglio di sagome in rilievo applicate sul supporto, in genere cartone o compensato, la cui superficie è resa tridimensionale dall’ombreggiatura dipinta e da una serie di tacche rettangolari incise in profondità. Opere in bilico fra pittura e scultura, sono combattute fra figurazione ed astrattismo. La bidimensionalità è caratteristica, oltre che dei bassorilievi simili a fregi, anche della scultura a tutto tondo degli anni Ottanta, che raffigurano le sagome di bronzo o legno multistrato delle figure metamorfiche che popolano i suoi quadri. Galliussi si concentra sulla linea curva ben livellata delle sue creature, più che sui volumi, nella ricerca di un’assoluta essenzialità. Il marcato linearismo è una cifra stilistica che l’artista mantiene già dagli anni Sessanta, soprattutto nei disegni e nelle incisioni a linoleum, privi di chiaroscuro e realizzati a solo contorno (a cura di Matteo Colovatti, 2017).
Santese E., Galliussi. Storia di un itinerario, Trieste 1980