LUOGO AD USO PUBBLICO, periodo tardoantico/ altomedievale

Oggetto
LUOGO AD USO PUBBLICO - impianto termale
Localizzazione
Aquileia (UD) Braida Murada, Grandi Terme
Cronologia
secc. IV-VII d.C.
Ambito Culturale
periodo tardoantico/ altomedievale
Indagini di scavo
Soprintendenza alle Antichità di Padova - 1922/00/00-1922/00/00
Soprintendenza statale - 1961/00/00
Soprintendenza statale - 1981/00/00-1987/00/00
Soprintendenza per i beni archeologici del Friuli Venezia Giulia, Università degli studi di Udine - 2002/00/00-2012/09/21
Codice scheda
SI_654

Le c.d. Grandi Terme sono uno degli edifici pubblici civili più importanti dell’Aquileia tardoantica. Avevano un’estensione di circa 25.000 mq ed elevati anche superiori ai 20 m, decorazioni lussuose in marmi pregiati, intonaci e stucchi e tessere vitree, pavimenti in mosaici policromi geometrici e figurati o in tarsie di pietre e marmi multicolori. Un’epigrafe frammentaria rinvenuta in una delle vasche da Paola Lopreato negli anni ’80 ci restituisce il nome originario, Thermae felices Constantinianae, cioè le terme fortunate di Costantino, e ci ricorda i personaggi che si occuparono della loro costruzione, i sovrintendenti (praepositi) Settimio Eliano e Flavio Muciano. Per la loro costruzione, che rientra nella ripianificazione di Aquileia voluta dall’imperatore Costantino, fu scelta un’area da poco inclusa all’interno della cinta muraria, subito a nord dell’Anfiteatro e immediatamente a sud del teatro. I dati archeologici suggeriscono che abbiano avuto una vita piuttosto lunga, probabilmente fino alla fine del V secolo, sia pure con qualche precoce spoliazione forse legata all’assedio attilano. Anche dopo la loro dismissione le terme rimasero per secoli una presenza importante nella città ormai profondamente trasformata, come sede di abitazioni e di attività artigianali, finché non cominciarono a crollare. La spoliazione delle macerie fu progressiva ma si intensificò in età tardomedievale, eliminando tutti i resti degli imponenti elevati fino alle profonde fondazioni, trasformando completamente l’aspetto del sito. Sintetizzando i risultati delle indagini archeologiche condotte fino ad oggi, dell’edificio si conoscono i muri perimetrali nord e sud, che restituiscono una dimensione N-S di m 158-160; l’abside del caldarium e il tratto settentrionale del limite ovest sono leggibili, per ora, soltanto dalle differenze di alterazione del suolo, individuate dopo le arature e riportate nella planimetria generale. Mancano indicazioni precise sul limite est, anche se è probabile che esso fosse ripreso dal tracciato del muro che recingeva la ‘Braida murada’ fino al 1960 e quindi che oggi esso giaccia al di sotto della stradella sterrata che collega Via 24 Maggio con il sito archeologico. Il muro perimetrale meridionale è leggibile, seguendo le trincee di spoglio, per circa m 22, dall’ambiente A13, dove si presenta in laterizio e della larghezza di appena m 0,90, all’Aula Sud (A3), di cui è conservato il paramento interno dell’angolo sud-ovest, con i resti dell’allettamento per uno zoccolo di lastre marmoree; il resto del muro sud è sotto la Via 24 XXIV Maggio e doveva concludersi sotto l’aiuola con i cedri che oggi segna l’incrocio con Via Manlio Acidino. Del muro settentrionale sono stati messi in luce due tratti anch’essi in negativo: uno, più breve, nel settore nord-ovest (largh. N-S 1,42 m) e un altro, più esteso e articolato, nel settore nord-est. Quest’ultimo tratto, parzialmente scavato fino ai resti della platea di fondazione, presenta un profilo esterno con aggetti e rientranze pressoché quadrati e a distanza regolare, probabilmente sede di un colonnato addossato alla parete (o di un semicolonnato) . Delimitato a nord e a sud dalle strade E-O dell’impianto urbanistico, il complesso termale era sicuramente circondato almeno da un giardino che lo separava, verso ovest, dal tracciato delle mura di IV secolo, ancora leggibili dal microrilievo e dalle prospezioni con georadar. Le medesime prospezioni, eseguite per conto dell’Ateneo udinese nel 2011, hanno rivelato che l’estremità occidentale dei due ambienti-corridoio A13 e A15 era forse conclusa da due avancorpi, forse due piccole absidi, che articolavano, insieme alla curva esterna del caldarium, il profilo occidentale dell’edificio. Le terme come oggi sono leggibili furono costruite in età tardocostantiniana (terzo quarto del IV secolo d.C.) ma ebbero sicuramente una lunga vita e almeno una seconda fase intorno alla fine del IV secolo, quando, rispettando probabilmente l’articolazione degli ambienti, si intervenne soprattutto con restauri e rifacimenti dei mosaici. Il fulcro del complesso termale costantiniano era costituito dal frigidarium, un vasto salone (45 NSx22 EO m circa) collocato nel centro ideale dell’edificio (A2) e circondato su tre lati (nord, sud e ovest) da altrettante coppie di vasche quadrate lastricate (V1-6); il pavimento del salone centrale è rivestito da ampi tappeti di motivi geometrici in tarsie di marmi colorati (opus sectile), alternati a grandi riquadri con tondo centrale e delineati da cornici di lastroni lapidei. Due corridoi (A4-A5), lastricati e fiancheggiati da vasche, permettevano l’accesso, da ciascuno dei lati brevi del salone centrale, a due aule simmetricamente opposte (Aula Nord=A1 e Aula Sud=A2), con identiche dimensioni (31,50-32 NSx22 EO m circa) e organizzazione dei pavimenti in tessellato policromo: in entrambe, una corona di sedici tappeti musivi si dispone intorno ad un grande quadrato centrale, mentre su ognuna delle due estremità si sviluppa un pannello rettangolare con lunghezza pari alla larghezza dell’ambiente; fasce di lastroni in calcare e marmo rosso di Verona incorniciavano i singoli tappeti garantendo l’unità compositiva al pavimento. I mosaici delle due aule, considerate ambienti coperti a volta e probabilmente dedicate alle attività sportive, sono accomunati dai fitti e complessi ornati geometrici e dalla presenza di ritratti, rappresentazioni e simboli che rimandano alla vittoria negli agoni atletici, ma si differenziano fra loro per il soggetto predominante nelle scene figurate: nell’Aula Nord si esalta il regno di Nettuno, con il carro del dio al centro e raffigurazioni di Nereidi e Tritoni in molti pannelli; il tema della caccia è invece il protagonista nell’Aula Sud. A est del salone centrale è stato messo in luce, per circa 6 m in senso N-S, il settore centrale della natatio (A6), con fondo in lastroni di reimpiego in pietra e in marmo. Forma e dimensioni della piscina, cui si accedeva forse grazie ad una gradinata fra colonne in marmo verde antico con un diametro di circa 1 m (ne restano due frammenti abbandonati al suolo), sono ancora solamente ipotetiche: l’osservazione della sezione esposta corrispondente al suo lato occidentale sembra rivelare, sulla base di alcuni lastroni ancora conservati in situ, una lunghezza N-S di almeno 20-22 m; a 11,30 m verso est il lastricato si interrompe, tagliato da un ampio ‘canale’, che forse è la trincea di spoglio di una poderosa struttura muraria al limite est della vasca. Il tratto occidentale del lato sud, in corrispondenza degli ambienti riscaldati, ospitava un vano rettangolare stretto e allungato oggi messo in luce per circa metà e già parzialmente scavato da Luisa Bertacchi (A13). Delimitato a nord e a sud da muri in laterizio larghi circa 0,90 m, l’ambiente A13 ha rivelato un pavimento in mosaico bianco e nero a motivi geometrici, arricchito, presumibilmente al centro, da un rettangolo con cornice a treccia policroma; le tessere nere sono cubiche mentre quelle bianche sono parallelepipede. Il tessellato monocromo è fortemente abraso e costellato da buche, alcune sicuramente di palo per strutture leggere altomedievali, e si presenta tagliato, sul lato nord, da un pozzo tardomedievale. Lo scavo di queste fosse più recenti ha rivelato che il pavimento musivo bianco e nero fu realizzato rialzandone uno precedente, di cui resta soltanto il massetto cementizio, coperto da uno spesso strato di bruciato, e ha dimostrato quindi l’esistenza di più fasi delle Thermae felices. Il vano A13 poteva essere, fin dalla prima fase, una sorta di corridoio, costituendo un diaframma tra gli ambienti riscaldati e la strada est-ovest che correva a sud del complesso, su cui forse si affacciava con un portico. Procedendo verso ovest, sull’asse centrale E-O del salone centrale A2 (frigidarium) si impostava la canonica sequenza tepidarium-caldarium, di cui conosciamo in realtà ancora molto poco. Il passaggio fra le vasche V3 e V4 (A7) era scandito da una struttura scavata da Paola Lopreato, composta da due piattaforme in calcestruzzo e cocciopesto intorno ad un foro centrale e attraversata da canalette a sezione rettangolare, che potrebbe essere interpretata come una fontana. Segue un vano con suspensurae (A8), forse rivestite da opus sectile e sfondate dal crollo delle volte, di cui restano alcuni grossi blocchi in calcestruzzo mescolato a pomice con parti in laterizio. Non abbiamo però ancora notizie sulla pianta del vano riscaldato, sulle cui macerie e probabilmente nel Tardo Medioevo fu realizzata una fitta rete di piccoli ambienti con muri a secco ottenuti frammentando i blocchi di volta crollata, che hanno impedito temporaneamente lo scavo in profondità. Del caldarium (A9) conosciamo soltanto il profilo dell’abside che aggettava sul lato ovest, grazie alle differenze di composizione del suolo, confermate dall’accentuato rilievo del terreno e dalla sovrapposizione in pianta, sul bordo sud-ovest della curva, dei forni, alcuni radiali, rinvenuti da Luisa Bertacchi nel 1961 e subito ricoperti. Sempre agli scavi di Luisa Bertacchi si deve la conoscenza dell’ambiente A12, un vasto salone (presumibilmente 24E-O x 29N-S m) riscaldato a ipocausto, con pavimento sospeso su pilastrini in mattoni circolari bollati e rivestito in sectile-tessellato a riquadri con disegni geometrici e floreali stilizzati, delineati con grosse tessere lapidee e legati da cornici in marmo. Sul lato orientale di A12 è stato messo in luce un ampio tappeto in tessellato policromo (circa 15 m in senso N-S la lunghezza ricostruibile), che vede l’uso del cotto per il rosso e, per la fascia di incorniciatura, di tessere parallelepipede bianche, il cui impiego fa pensare ad una realizzazione coeva al pavimento monocromo più recente di A13; il mosaico pavimentava un piccolo ambiente (A10) forse di passaggio tra l’Aula Sud e A12. La rigorosa simmetria della pianta delle ‘Grandi Terme’ fa supporre, nel settore nord-occidentale, l’esistenza di un altro salone riscaldato ad ipocausto (A11) identico ad A12 e, da quanto si comprende dalla lettura dei rapporti di scavo del ‘900, con un pavimento a grandi tessere del medesimo tipo. Sulla fronte di A11, simmetrico al tappeto musivo di A10, Luisa Bertacchi mise in luce un tessellato con una composizione di girandole e pelte, anch’esso apparentemente attraversato da un’ampia trincea di spoglio con orientamento N-S (A14). Infine, lungo il muro nord della metà con gli ambienti riscaldati doveva correre un altro vano stretto e allungato (A15), con le medesime caratteristiche di A13, che è per ora soltanto ipotizzabile. Gli scavi più recenti (2012-2013) hanno rivelato una serie di ambienti (A16-A18), che si sviluppa lungo il lato nord delle Terme, nel suo tratto orientale. Due dei tre vani (A17 e A18) presentano ben tre fasi costruttive, con importanti cambiamenti anche strutturali e la numerazione ad essi attribuita è riferibile alla terza e ultima sistemazione). All’estremità est dell’area scavata si trova il pavimento, in mosaico a grandi tessere in pietra e in cotto, di una stanza presumibilmente rettangolare (A16). Il tessuto musivo si presenta molto simile, per tecnica e per stile, a quello del salone A12 del settore sud-ovest, anche se i materiali sono più poveri e mancano elementi in sectile: grandi quadrati decorati da fioroni e una cornice a dentelli, ben leggibile sul lato ovest e testimoniata da un piccolo lacerto su quello sud. Il limite est di A16 non è ancora stato scoperto (e con esso le dimensioni complessive della stanza ) mentre quello settentrionale è dato dal bordo approssimativamente rettilineo della preparazione in sottili strati di malta poco tenace. Fra le tessere del mosaico di A16 è stata rinvenuta una moneta di non facile lettura ma databile sicuramente tra la fine del IV e l’inizio del V secolo d.C., che collocherebbe in questo periodo il rifacimento dei pavimenti, almeno di quelli del settore settentrionale (cioè alla seconda fase dell’edificio). Poco più a ovest, fra 2012 e 2014, è stato messo in luce un ambiente dotato di un pavimento identico in tutti gli aspetti al precedente, separato da A16 tramite una trincea di spoglio N-S. In origine di pianta rettangolare (ed esteso fino all’Aula Nord), il pavimento appare oggi come ritagliato e ridotto ad una forma poligonale; nella parte più occidentale almeno sei quadrati erano sostituiti da un altro tipo di rivestimento (in opus sectile?) con una cornice in piccole tessere. La forma irregolarmente curvilinea del pavimento, che mal si adatta al reticolo di quadrati del mosaico, deriva da una imponente ristrutturazione della stanza, legata alla realizzazione di un muro pseudo-circolare – oggi in gran parte spogliato però – per un vano più recente (A17), rivestito da un pavimento ottagonali in fine tessellato: otto trapezi (ne resta uno decorato da una Nereide a cavallo di un Tritone) erano impostati sui lati di un ottagono centrale, forse con la testa di Oceano. Il mosaico a tema mitologico-marino, fortemente danneggiato forse dai crolli della copertura e sicuramente dalla frequentazione di età altomedievale e dalle successive arature, colmava, con la sua preparazione, un forte dislivello del sottostante pavimento a grandi tessere, dovuto ad un cedimento strutturale nell’angolo S-E del pavimento a grandi tessere. Se il mosaico a grandi tessere appartiene alla seconda fase delle terme, l’ambiente A17 con il tessellato ottagonale potrebbe collocarsi almeno nella prima metà del V secolo. Nel ridotto spazio fra la sala A17 e l’Aula Nord (A1), nell’ultima fase coeva al mosaico ottagonale con la Nereide, aveva sede un vano di piccole dimensioni (A18), evidentemente di servizio e di passaggio, con pavimento in tessellato caratterizzato da ornati geometrici, ormai poco leggibili per i numerosi interventi di restauro antico in tessere bianche, che ne dimostrano una prolungata ed intensa usura. Durante la prima fase di questa zona nord-orientale del complesso, gli spazi di A18 e di una parte di A17 erano occupati da una struttura in cementizio e cocciopesto, dotata di impianti di canalizzazione sotterranei, smontati prima della stesura del mosaico a grandi tessere, e forse di una vasca circolare, anch’essa obliterata dal pavimento di seconda fase. L’assenza di pavimenti conservati nella zona a sud degli ambienti A16-A17 farebbe pensare all’esistenza di grandi cortili porticati e forse lastricati ai lati della natatio. Non sappiamo nulla dell’articolazione planimetrica nel settore sud-orientale, ora sotto l’attuale Via 24 Maggio e sotto l’aiuola con i cedri, che riprende la forma dell’angolo S-E dell’edificio e della vecchia strada che circondava il muro della Braida Murada prima del 1960, come è possibile notare dal confronto delle fotografie aeree. A conferma di tale ipotesi, proprio recentemente (2016), un saggio della Soprintendenza, realizzato in occasione dei lavori di riqualificazione della Via 24 Maggio condotti dal Comune di Aquileia, ha messo in luce l’angolo S-E dell’Aula Sud delle Terme. La necessità di una enorme quantità di materiale da costruzione e di arredo per un edificio così vasto come le Terme Costantiniane (blocchi, decorazioni architettoniche, rivestimenti in marmi policromi, sculture, ma anche pietre da cuocere per ricavarne calce) e le stesse caratteristiche dell’intensa attività edilizia ad Aquileia nella prima metà del IV secolo d.C., resero indispensabile, accanto all’acquisizione e alla lavorazione ex novo di materiali lapidei, il reimpiego di marmi e pietre provenienti da edifici più antichi dismessi. Le indagini condotte dal 1922 a oggi hanno messo in luce decine di migliaia di elementi architettonici, scultorei ed epigrafici, blocchi e lastre di pietra, colonne e sectilia, per lo più frammentari e ammassati nei riempimenti delle vasche e della natatio, trasformate in discariche e cave di inerti, o in colmate all’esterno dell’edificio. I riempimenti, spesso sconvolti dai continui interventi di spoglio e dalle successive attività agricole, non ci permettono però di determinare chiaramente l’originaria collocazione dei vari elementi architettonici e scultorei, spesso molto più antichi dell’edificio termale, e neppure quando e perché essi siano stati ridotti in frammenti, scalpellando le eventuali decorazioni sporgenti, che ne ostacolavano il reimpiego come blocchi da costruzione, secondo modalità che erano sicuramente identiche sia nella fase di realizzazione dell’edificio nel IV secolo sia durante lo spoglio definitivo in epoca tardomedievale. È quindi ancora molto difficile capire quali elementi architettonici siano stati utilizzati intenzionalmente come spolia e collocati nell’edificio con funzioni in qualche modo simili a quelle originarie e quali siano stati rilavorati e adattati a destinazioni d’uso diverse o addirittura impiegati come inerte nelle strutture. Altrettanto difficile è individuare da quale edificio dismesso provengano gli elementi sicuramente più antichi. Di certo sorprende il fatto che, nella congerie di frammenti architettonici a disposizione, appaiano relativamente pochi quelli stilisticamente databili al IV secolo e quindi, si presume, realizzati espressamente per le Thermae felices.

Le Thermae felices Constantinianae si rivelano un edificio di età tardo-costantiniana, costruito nel corso del secondo quarto del IV secolo; verso la fine dello stesso secolo subirono una serie di rifacimenti, che riguardarono soprattutto le pavimentazioni, ma mantennero sicuramente la loro funzione. Un’ultima fase, forse già nei primi decenni del V secolo, è documentata per ora soltanto nella zona nord-orientale del complesso (ambiente A17) e comportò interventi strutturali più importanti, forse legati ad un cambiamento d’uso. Sulla destinazione originaria dell’impianto, ancora discussa agli inizi del presente millennio, non ci sono oggi più incertezze: l’articolazione planimetrica, con la sua rigorosa simmetria e i suoi confronti con le terme imperiali coeve, e le caratteristiche degli ambienti noti non possono che confermare la loro funzione di impianto termale pubblico di grandiose dimensioni e adatto quindi a quella che nel IV secolo Ausonio (11, 9, 4) riteneva la quarta città d’Italia per importanza. Si continua a discutere sulla possibilità che le terme costantiniane siano una ricostruzione di un complesso termale precedente. L’edificio, così come lo vediamo oggi, sembra concepito in modo unitario e i caratteri costruttivi di un impianto così esteso (25.000 mq) comportarono sicuramente un enorme sbancamento che eliminò del tutto le eventuali strutture precedenti, spostando di conseguenza ingenti quantità di terra e di reperti. Prima dell’ampliamento delle mura effettuato nel IV secolo, questa era una zona suburbana e non mancano tracce di impianti termali precedenti all’interno della città; è anche vero però che le basi per la nuova città costantiniana vennero poste già in età tetrarchica, epoca in cui poteva essere stata già pianificata e cominciata la costruzione di un impianto termale pubblico di grandi dimensioni. Le moderne metodologie di scavo archeologico stratigrafico adottate negli scavi di questo ultimo decennio hanno permesso di proporre una periodizzazione abbastanza ben definita per la storia del sito, che spiega e giustifica il precario stato di conservazione attuale dell’impianto termale costantiniano. Le Terme, sia pure in parte danneggiate e oggetto di qualche precoce attività di spoglio, erano ancora parzialmente in piedi nel VI secolo, quando alcuni ambienti vennero riutilizzati per ospitare abitazioni in materiali deperibili di piccoli nuclei familiari che seppellivano i loro defunti subito all’esterno dei muri, sentiti ancora come limite. Il riuso a fini abitativi fu probabilmente interrotto alle avvisaglie dei primi crolli, che supponiamo iniziati dopo il VII secolo, almeno a giudicare dall’assenza – per ora – di materiali attribuibili con sicurezza ai secoli VIII-IX e successivi. Seguì un lungo abbandono delle rovine, finché, probabilmente nel XIII secolo, quando Aquileia divenne Comune, i crolli e i muri non furono definitivamente spogliati e parte dei materiali riutilizzati per costruire nell’area le case e i rustici documentati in alcune ben note vedute e piante di Aquileia (1693; 1735). Delle terme si perse anche la memoria fino agli inizi del XX secolo, quando lavori agricoli per l’impianto di un vigneto misero in luce parte dei mosaici dell’Aula Nord (1922).

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