Il contesto archeologico noto come “Punta dei Cocci” è un deposito subacqueo rinvenuto durante i lavori di sbancamento effettuati per la posa in opera di una condotta subacquea del tratto sottomarino dell’acquedotto di Trieste. L’area di incidenza è limitrofa alla costa rocciosa del Villaggio del Pescatore, che in quel punto digrada naturalmente in mare. Il materiale dragato, complessivamente ascrivibile ad età romana e rinascimentale, venne successivamente scaricato sulla riva sinistra alla foce del Timavo, in un'area bonificata della zona industriale di Monfalcone (un tempo palude Balo), creando una lingua di terra che prese appunto il nome di “Punta dei Cocci”; tale zona divenne per un breve periodo meta di appassionati locali. Le modalità del recupero non consentirono il riconoscimento né della stratigrafia né del contesto archeologico di riferimento: è noto soltanto che la profondità di giacitura del deposito era circa di due metri e che esso era adiacente alla linea di riva. Il materiale archeologico, molto vario, comprende quasi esclusivamente materiale medio-minuto. Si notano, in particolare, terre sigillate di produzione gallica, ma anche italica, africana ed orientale, insieme a ceramica comune orientale e vetro; scarse risultano invece le anfore - tra le quali si segnalano un bollo greco frammentario ΦΡΟ[---] su un'anfora probabilmente grecoitalica e un bollo SPE su Lamboglia 2 - e la ceramica comune grezza. Questa situazione appare molto di più legata alla modalità di recupero da parte degli appassionati locali, che hanno privilegiato gli oggetti esteticamente gradevoli, piuttosto che all'entità delle singole classi. I reperti di epoca romana non presentano nessun tipo di incrostazione da organismi marini, segno evidente che non erano esposti direttamente all’azione dell’acqua perché già stratificati, mentre quelli rinascimentali appaiono incrostati. Sembra, pertanto, che possa trattarsi di un deposito terrestre, successivamente inabissatosi a seguito delle variazioni storiche del livello del mare, piuttosto che di un relitto.
La posizione del rinvenimento e il fatto che il materiale archeologico romano non presenti incrostazioni da organismi marini suggeriscono di ricondurre i reperti a una stazione terrestre, successivamente inabissatasi a causa delle variazioni del livello del mare. Contro l'ipotesi del relitto trasportato da una piena del Timavo si possono annoverare sia la caratteristica del materiale (assenza di incrostazioni) sia la sua cronologia, compresa tra il I sec. a.C. (bollo SPE su anfora Lamboglia 2) e il III sec. d.C., anche se il lotto di gran lunga più abbondante si attesta nella seconda metà - fine del II secolo d.C. Tra i reperti si segnala la massiccia presenza di ceramica fine decorata (produzioni galliche, ceramiche corinzia e cnidia) e la forte incidenza di importazioni dall'area centro-italica. Tali materiali potrebbero essere forse spiegabili con la presenza di una clientela di grado sociale elevato in grado di influenzare il mercato altrimenti dominato, per quanto riguarda la coeva ceramica fine, dai prodotti nord-italici. La presenza di questo tipo di importazioni e la loro percentuale elevata, che si possono considerare atipiche per una singola villa del tipo di quelle gravitanti attorno al Lacus Timavi, potrebbero infatti trovare una giusta collocazione nell’ambito di una villa o di centro abitato di qualche rilevanza. In particolare il materiale sarebbe da connettere al vicino complesso Palazzo d'Attila / Casa Pahor (SI 873 e 874) del quale l'area di rinvenimento del deposito potrebbe forse essere la zona di scarico. Il coinvolgimento di una famiglia di alto grado sociale (la presenza della famiglia imperiale con Livia, moglie di Augusto, è documentata dalle fonti - Plinio -), volta anche all'affermazione del proprio status, potrebbe giustificare l'utilizzo di suppellettili del tipo rinvenuto a Punta dei Cocci, che non trova riscontro in altri siti del territorio di Trieste. Si segnalano anche terre sigillate africane e orientali, anfore orientali, lucerne e vetri. A questo materiale si aggiunge un piccolo nucleo di materiale rinascimentale, caratterizzato però da abbondanti incrostazioni marine e da non considerarsi parte del medesimo contesto.
Auriemma R./ Degrassi V./ Donat P./ Gaddi D./ Mauro S./ Oriolo F./ Riccobono D., Terre di mare: paesaggi costieri dal Timavo alla penisola muggesana, in Terre di mare. L'archeologia dei paesaggi costieri e le variazioni climatiche, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Trieste, 8-10 novembre 2007), Trieste - Pirano 2008