recto, in basso a sinistra: S. B. / PISIS PP
recto, in basso a sinistra: 44/60
recto, in basso a destra: F de Pisis / 44
L’opera, insieme a quella descritta alla scheda 860022 e a un pastello di Marcello Mascherini, è giunta nelle collezioni dell’Ateneo triestino grazie a una donazione della famiglia Colombis, che a sua volta l’aveva ricevuta da Franca Fenga Malabotta, vedova ed erede nel notaio triestino Manlio Malabotta (1907-1975), una delle personalità più importanti del Novecento giuliano, critico d’arte, poeta e collezionista dal gusto raffinato, la cui fama è legata proprio alla sua celebre raccolta di opere di Filippo De Pisis, oggi alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara. Lo stesso Malabotta era stato autore di una monografia dedicata proprio alla produzione grafica dell’artista ferrarese.
La datazione del foglio in esame, 1944, coincide con il soggiorno veneziano del pittore e anche con il suo esordio nel campo della litografia. Com’è noto, nell’agosto del 1943 l’appartamento milanese del pittore era stato colpito dai bombardamenti e de Pisis si era stabilito a Venezia, prima affittando su consiglio di Cardazzo un grande studio in campo San Barnaba, e poi acquistando una casa in San Sebastiano (cui fa riferimento la sigla S(an) B(astian) che ricorre spessissimo nelle opere di questo periodo). Visto il particolare status della città lagunare, intenzionalmente risparmiata dagli attacchi aerei alleati, in Laguna, i suoi lavori conobbero un successo di vendite senza precedenti visto che un folto gruppo di intellettuali, ma soprattutto di industriali e ricchi proprietari vi aveva cercato rifugio, dando vita a un fiorente mercato artistico e librario. In questo clima, nonostante le restrizioni della
guerra, vennero presto commissionate al pittore anche diverse serie di litografie per alcuni progetti editoriali di lusso, tra cui, nel 1945, Soggiorno a Venezia di Marcel Proust, ancora per le Edizioni del Cavallino di Carlo Cardazzo e, nello stesso anno, i Carmi di Catullo per Hoepli. Ma l’occasione per esordire in questo campo era stata offerta a de Pisis da Carlo Cardazzo, che lo aveva invitato a realizzare alcune litografie da stampare sulle pietre della sua nuova tipografia. Per quanto non ci siano elementi a conforto, a questa circostanza potrebbero risalire anche le due litografie della collezione Colombis, che rimangono prove di alta qualità esecutiva e sicuramente destinate al commercio, come dimostra anche la tiratura volutamente limitata a sessanta copie.
Il risultato più eclatante della collaborazione tra il pittore ferrarese e Cardazzo sarà tuttavia la cartella Filippo De Pisis. Sei litografie, che verrà licenziata dalla galleria nel dicembre del 1944 con una presentazione di Rodolfo Pallucchini, dopo che nella stessa galleria del Cavallino, dal 4 al 17 novembre, si era tenuta un’esposizione dedicata alle litografie di de Pisis. Oltre a delineare le direttrici della ricerca pittorica di de Pisis, in quel testo Pallucchini si era concentrato sulla lettura delle sue prove litografiche: “Facendo uso di una nuova tecnica, e cioè della litografia, De Pisis non tradisce sé stesso, ma anzi viene riaffermando i caratteri di una poetica ormai tanto chiaramente definita nel campo pittorico. [...] De Pisis ha compreso il giusto valore di tale tecnica e, senza sforzarla, l’ha dolcemente piegata ai propri interessi figurativi: in queste sue prime prove litografiche, egli va traendo effetti di forma franta nell’atmosfera, macerata in un clima luminoso. La sua matita striscia untuosa, e s’infrange, e si riprende, e si spezza, ritornando su sé creando sottili passaggi, sbavature e gradazioni chiaroscurali, di pieno e marcato valore pittorico. Si trova insomma in queste litografie di
De Pisis dal tocco più acceso ed indiavolato, mediante il quale imprime una così penetrante ed intima vita ai suoi fantasmi […] De Pisis fa dunque del colore anche quando affida il suo sentimento figurativo al bianco e nero litografico: anzi, dai due toni fondamentali a sua disposizione, distilla una vena cromatica più impegnativa e meno sensuale, tesa a reggere, con un tratteggio quasi delirante, accenti umani vivissimi, trasalimenti allucinati, abbandoni più sereni”. Considerazioni, quelle di Pallucchini, che si possono senza alcun dubbio applicare anche all’opera in esame, che rispetto alle prove scelte
per la citata cartella, si caratterizza per una sorta di sospensione metafisica, con il tavolino in primo piano che si staglia su di un paesaggio marino appena accennato dove, sulla destra, di vede appena una figura piegata verso un cagnolino: una macchietta degna di una tela dei Guardi, pittori che de Pisis amava moltissimo e a cui tante volte in quegli anni, la critica lo aveva paragonato.
De Grassi, Massimo, Schede, in "Ricorda e Splendi". Catalogo delle opere d'arte dell'Università degli Studi di Trieste, Trieste 2024