Nature morte nelle raccolte dell’Università degli Studi di Trieste
Nel Novecento, la natura morta si evolve come genere, riflettendo le profonde trasformazioni artistiche dell'epoca. Gli artisti moderni rivisitano il tema tradizionale, sperimentando nuove tecniche e stili, dall'astrattismo al cubismo, per esplorare forme, colori e composizioni. La natura morta diventa così un mezzo per esprimere non solo la realtà visibile, ma anche visioni più intime e concettuali del mondo circostante.
Nelle collezioni accademiche si conservano diverse opere che testimoniano l'evoluzione di questo genere artistico.
Appartengono al secondo dopoguerra triestino le nature morte esposte nel 2024 al Castello di San Giusto di Alice Psacaropulo, caratterizzate da forti cromatismi, e di Mirella Schott Sbisà, con chiari riferimenti classici. Il quadro di Vittorio Cocever, invece, è una sintesi perfetta degli interessi e delle attitudini di un artista che si dedica non solo alla pittura ma anche alla ceramica, oltre che all'insegnamento.
Ci sono diverse nature morte di Dino Predonzani conservate nel Fondo Predonzani dell'Ateneo, si scelgono qui di ricordare due opere a tempera dai colori scuri dell'immediato dopoguerra.
Alla mostra del 1953, organizzata presso l’Aula Magna dell'Università, viene esposta una Natura morta di Alberto Salietti. L'opera, probabile pendant della Natura morta coi frutti (già parte della Graphic Society Collection di New York), piacque talmente all'autore che ne chiese la temporanea restituzione per un’esposizione a Livorno nell'aprile del 1954.
Alla stessa mostra del 1953 figura anche una Natura morta di Giovanni Brancaccio, uno degli artisti più appassionati partecipanti all'Esposizione nazionale di pittura italiana contemporanea. Il lavoro è tipico della produzione del pittore napoletano, con oggetti legati al mondo del mare.
A questo genere appartengono anche due litografie di Filippo De Pisis, ulteriori esempi della ricchezza della tradizione della natura morta nelle collezioni dell'Ateneo.