in basso a destra: Lannes
La composizione è dominata dal paesaggio carsico, con alcune abitazioni in lontananza, che si scorgono fra la vegetazione. In primo piano, una serie di alberi punteggia il paesaggio, aggiungendo un tocco di vivacità. Al centro della composizione si estende una successione di muretti in pietra, disposti in profondità prospettica, che guidano l'occhio dello spettatore verso le abitazioni all'orizzonte. Il cielo e le colline sfumate sullo sfondo contribuiscono a creare un senso di profondità alla composizione.
L'opera riflette la caratteristica attenzione di Lannes alla struttura spaziale delle sue composizioni. La scelta dei colori, con toni caldi per le abitazioni e toni più freddi e naturali per la vegetazione e le colline, aggiunge una dimensione cromatica che dà valore all'intera scena.
Il dipinto raffigura un breve scorcio del Carso dominato dalla policromia autunnale della vegetazione arborea e dal cangiantismo cromatico che accomuna i monti e il cielo sullo sfondo. Nascoste fra le chiome degli alberi si intravedono due abitazioni, compatte come solidi geometrici che immettono ulteriori note luminose nel paesaggio. Affine a un secondo Paesaggio del Carso facente anch’esso parte delle collezioni dell’ateneo triestino (verrano distribuiti, insieme ai dipinti che erano stati acquistati alla mostra organizzata dall’ateno nel 1953, tra i docenti che avevano fatto richiesta: cfr AUT, Busta 59, fasc. corrispondenza: Lettera di Libero Fonda ai Direttori degli Istituti dell’Università di Trieste.
Assegnazione dei quadri, Archivio dell’Università di Trieste, 23 novembre 1954, nn. 13/14) (cfr. scheda 42), il dipinto in esame ne condivide l’atmosfera di silenziosa sospensione motivata dal desiderio dell’artista di fotografare l’avvicendarsi delle stagioni e la pace di un luogo in cui la presenza umana è allusa dai manufatti che timidamente lo costellano. Se dal punto di vista compositivo il senso di quiete è trasmesso da una costruzione organizzata per linee parallele che accompagnano lo sguardo fino all’orizzonte, sotto il profilo della condotta pittorica si nota l’alternanza dei tocchi in punta di pennello usati per definire la vegetazione e una pennellata estremamente più corposa e ampia nelle restanti parti della scena, interpretabile come una poetica istantanea con rari contrasti chiaroscurali. La luce che si irradia dal dipinto e le tinte a tratti irreali che lo connotano permettono di affiancarlo alla Marina della stessa collezione universitaria (cfr. scheda 44) con cui condivide le tonalità violacee e i tocchi verdi diffusi sulle montagne e da qui profusi nel cielo.
Pur essendosi a più riprese dedicato alla pittura di figura, all’arte sacra, alla decorazione navale e di edifici pubblici (in cui ha sperimentato pure l’antica tecnica dell’encausto), Mario Lannes trova essenzialmente nel paesaggio il suo genere più congeniale tornando anche in più occasioni sui medesimi scorci. È nel paesaggio infatti che l’artista può dare libero sfogo alla passione per la luce e il colore tipica del suo modo prevalentemente postimpressionista di concepire la pittura. Nonostante la tangenza con le istanze del Novecento manifestata soprattutto nelle due versioni dell’Autoritratto rispettivamente conservate al Civico Museo Revoltella di Trieste e ai Musei Provinciali di Gorizia, Lannes si mantiene fedele a una maniera cromaticamente ricca, luminosamente fastosa e dalla pennellata corposa, capace di costruire volumi o alluderli senza bisogno di ricorrere al disegno. L’adattabilità del suo stile al soggetto trattato fu forse tra le cause dell’oblio in cui cadde l’autore, isolato dal mondo artistico del secondo dopoguerra certo anche a seguito della sua assiduità alle mostre sindacali e dei riconoscimenti che gli vennero tributati nel periodo fascista come la medaglia d’argento del Ministero dell’Educazione Nazionale (1934) e il Premio del Capo del Governo assegnatogli nel 1938. Avvilito da tale situazione, l’artista decise di abbandonare l’arte nonostante i successi incontrati in simposi come le mostre di arte sacra di Milano (1951), di San Paolo del Brasile (1957) e Bologna dove, nel 1960, ottenne il secondo premio.
Mogorovich E., Schede, in "Ricorda e Splendi". Catalogo delle opere d'arte dell'Università degli Studi di Trieste, Trieste 2024