I lavori femminili nel Museo Diogene Penzi

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I lavori femminili nel Museo Diogene Penzi

Un percorso tra gli strumenti dell'operosità femminile e delle dure incombenze domestiche delle nostre nonne.

La sezione della filatura e tessitura del museo ben documenta attività importanti un tempo per l’autosostentamento, giacché era prassi che le famiglie, e le donne in particolare, provvedessero al proprio fabbisogno. Vi è documentato l’intero ciclo operativo: si va dalla produzione delle fibre, soprattutto la lana ma anche la canapa, alla loro lavorazione, fino alla realizzazione del prodotto finito, il tessuto.

La rocca, che con il fuso, rappresenta uno degli attrezzi più antichi per torcere le fibre e realizzare un filato, è arricchita talora da originali decorazioni, forse frutto di un romantico gesto, considerato che per tradizione poteva essere il dono di un giovanotto alla sua amata.
A conclusione del processo di trasformazione, da filato a tessuto, si colloca il telaio a mano, prezioso strumento per produzione di prodotti destinati al commercio locale, oltre che per uso personale, che finì per divenire prevalente.
Infatti anche nel Friuli occidentale ci fu il passaggio progressivo dalla tessitura della lana a quella del cotone.  Dopo un primo periodo preindustriale, in cui si continuò a tessere e filare fra le mura domestiche, si passò, tra l’inizio dell’Ottocento ed il 1929, alla fase dell’industria moderna con la nascita di piccole industrie fino al diffondersi di grandi cotonifici. L’affermarsi di tale industria ebbe un forte impulso grazie anche alla presenza di manodopera a basso prezzo, e contribuì a fare di Pordenone la Manchester del Friuli, considerata anche la nutrita presenza di tecnici inglesi, da là provenienti, per installare le nuove macchine tessili, ridimensionando fino al progressivo abbandono le manifatture domestiche.

Fare il bucato in passato richiedeva tempo e fatica ed era una attività manuale che coinvolgeva esclusivamente le donne. L'operazione poteva impegnare più giorni. Finché non ci fu l’acqua corrente tutto iniziava con la raccolta dell'acqua, piovana o prelevata da pozzi o corsi d'acqua, che andava riscaldata. I tessuti venivano energicamente strofinati con la spazzola e il sapone, prodotto in casa attraverso la bollitura delle ossa di maiale.
Quindi si passava e ripassava con acqua e cenere (ranno) la biancheria e la si lasciava in ammollo per una notte, per sbiancare i capi ed eliminare i parassiti. Seguiva il risciacquo con acqua corrente, battendo e strofinando i capi sui lavatoi. Un lavoro massacrante, svolto in tutte le stagioni, fino all'avvento della lavatrice, che arriverà in Italia nel 1946, alla fiera di Milano, ma che si diffonderà solo alla fine degli anni ’50.

A conclusione delle gravose operazioni di lavaggio, i panni venivano strizzati e lasciati asciugare. Infine si procedeva alla stiratura effettuata, a seconda delle abitudini, col ferro scaldato sulla piastra bollente della stufa, o alimentato a braci con cui si correva il rischio di danneggiare le stoffe con bruciature.

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